Ancora un piccolo passo
Ecco il primo racconto tratto da “L’invisibile pesantezza del virus” di Gerardo Baldassarre ed Edoardo Traverso.
Dalle finestre opache filtrava la debole luce del sole del meriggio,
scontrandosi contro masse di libri e fogli sparsi per
il pavimento della claustrofobica stanza. Il fumo denso, padrone
dello spazio aereo, si schiariva lungo il fascio di luce e
faceva piroette di fronte al volto teso e imperlato di sudore
di un giovane uomo, rannicchiato in posa fetale sul pavimento
polveroso, con decine di sigarette spente intorno alla sua
sagoma. Nella camera regnava un silenzio tombale, e nemmeno
da fuori si poteva udire alcun suono; ma nella testa del
ragazzo impazzavano i pensieri, correvano a destra e sinistra
scomponendosi in miliardi di piccole e chiassose ipotesi che
ormai occupavano tutta la scatola cranica.
Pur essendo molto giovane, trentaquattro anni compiuti
il 29 febbraio di quell’anno, il signor Macaone era già professore
di microbiologia e virologia all’Università di Roma,
aveva pubblicato ventuno saggi sul comportamento di vari
tipi di virus, dieci trattati economico-sociali sulla gestione
della sanità pubblica e quattro romanzi, che però, a differenza
dei suoi scritti scientifici, non avevano mai ottenuto
interesse da parte del mondo letterario. Insomma, un personaggio
brillante, ma che in quel momento, come la maggior
parte della popolazione mondiale, accusava gli effetti
dei sette mesi di quarantena forzata imposta dai governi per
bloccare la pandemia. Da settimane ormai egli conviveva esclusivamente con il cupo silenzio esterno e con le voci dei
suoi pensieri.
Quel giorno, d’un tratto, uno squillo elettronico ruppe il
suo trambusto mentale, così come ruppe la quiete tutt’intorno,
pretendendo attenzione assoluta da parte dell’uomo; il
suono proveniva dal suo vecchio PC, che aveva cominciato
a emettere una luce intermittente dallo schermo. Egli si mise
faticosamente seduto a gambe incrociate, poi portò le mani
nei capelli e iniziò a scuotere la testa come per scrollarsi sabbia
dalle spalle, dunque si alzò adagio e si avvicinò alla scrivania.
Sullo schermo del PC si poteva riconoscere la foto di
una giovane donna e la scritta “chiamata da Donatella Santa
Maria”, che il professore pigiò con il cursore del mouse, aprendo
la comunicazione.
– Buongiorno professore, mi scusi se la chiamo solo adesso
ma in questo periodo hanno ridotto nuovamente le comunicazioni,
qui in laboratorio siamo riusciti a connetterci
solo oggi, – disse la donna, dal volto stanco e velatamente
nervoso.
– La chiamo per darle cattive notizie, purtroppo: per ora
nessun miglioramento, i test non vanno da nessuna parte.
Il professore si stropicciò gli occhi con uno straccio umido,
poi rispose con voce rotta: – Ciao Donatella… Non importa,
non avevo dubbi, ormai anche lì siete rimasti con pochissimi
strumenti, dubito che scopriremo qualcosa di efficace in queste
condizioni…
Deglutì con fatica, come per inghiottire una mela intera,
poi continuò con voce ancor più flebile: – Io da qui posso fare
poco, il mio piccolo laboratorio ha bisogno di una sistemata
altrimenti non posso continuare le mie ricerche… ma credo
che lascerò perdere…
Il volto della donna, già turbato da fatica e sconforto, si
contorse in una smorfia.
– Ma cosa dice professore? – Tuonò con voce allarmata, –
Non può mollarci ora! Stiamo lavorando ininterrottamente
da mesi, non vede come siamo ridotti?
Si passò una mano tra i capelli, ricavandone una ciocca da
mostrare alla camera.
– Vede? Anche qui la situazione è tragica, non possiamo
arrenderci… – sospirò. Poi, con voce tramutata in preghiera e
gli occhi lucidi, continuò.
– Qui anche noi conviviamo con i cadaveri degli infetti,
come fa lei. Dobbiamo uscire da questo incubo. Non può arrendersi
ora.
Il professore rimase a fissare il volto consumato della ricercatrice,
ricordando quanto fosse bella prima che la pandemia
entrasse a far parte della quotidianità. Ora la sua pelle giaceva
grigia e spaventata sulla sua carne.
– Non preoccuparti Donatella, vedrai che passerà, – disse,
riguadagnando vitalità nel tono di voce. – Voi del Laboratorio
Santa Maria però continuate da soli, non avete bisogno di
me, vi ho insegnato abbastanza. Io ho altro a cui pensare.
La donna continuava a implorare l’uomo, ma lui, che ormai
sembrava sicuro e fermo nella sua decisione, pur mostrando
un evidente esaurimento nervoso, respingeva le richieste
con secchi movimenti della testa in segno di dissenso.
– Ascoltami, Donatella: da qualche giorno ormai, forse da
più di un paio di settimane, ho abbandonato il nostro progetto.
Ma non temere! Ho trovato nuove soluzioni…
Il suo sguardo sembrava perdersi verso un punto molto
lontano, e le sue pupille vibravano elettriche.
– Fidati di me, Donatella, e ascoltami.
E detto ciò, cominciò a esporre la sua tesi. Le parole del
professore, man mano che avanzava nel discorso, perdevano
un senso logico e apparivano sempre più come le certezze di
un folle.
– Siamo quasi giunti alla fine, ancora un piccolo passo…
ancora un piccolo passo… – continuava a ripetere. Nulla di
quel che diceva era chiaro, perché anche la dialettica sembrava
ormai quella di un mentecatto, e le poche parole comprensibili
formavano un puzzle incoerente di superstizioni e formule
matematiche, avvenimenti storici e mitologia, scienza
e religione. Donatella fissava preoccupata il professore, mai
lo aveva visto in quelle condizioni. Nemmeno dopo mesi di
quarantena forzata. Aveva sempre mantenuto la sua famigerata
compostezza, una forma di saggezza che non gli si addiceva
per la sua età ma che ben si sposava con il suo immenso
intelletto. Ora stava lì, blaterante e trasandato, prigioniero del
malessere.
– Professore, ma che le succede? – Disse lei, scura in volto.
Macaone guardava assente la camera, ma in realtà il suo sguardo
vagava oltre.
– Cara Donatella, so quello che faccio… Hai letto il mio
ultimo romanzo? – Disse focalizzandosi sugli occhi della ricercatrice,
la quale fece cenno di sì con la testa; Macaone dunque
continuò: – Allora saprai che per sconfiggere un grande
demone c’è bisogno di uno sforzo da parte di un uomo, un
unico uomo, capace di dominare sul male. Cosa dice il protagonista,
prima di salvare l’umanità?
La donna lo guardava con occhi compassionevoli, ma al
tempo stesso era curiosa di capire dove volesse arrivare.
– Dice: ancora un piccolo passo… – recitò Donatella, cercando
tra i suoi ricordi.
– E poi cosa succede, Donatella? – Rispose lui, sempre più
sicuro delle sue parole.
– L’eroe fa un passo oltre il burrone, ma invece che cadere
tra le fiamme degli inferi, queste lo sorreggono e gli danno la
forza per distruggere il nemico, riportando la pace. – Disse
lei, cercando di trovare un senso ai vaneggiamenti dell’uomo.
– Ma signore, questa è la realtà, non ci sono demoni da
sconfiggere e lei non ha nessun potere, tranne quello della sua
scienza.
Il professore sfoderò un sorriso dolce, paterno. Rimase a
fissarla per qualche secondo, poi intervenne: – E non è proprio
quello che pensò la popolazione quando vide l’eroe gettarsi
nel profondo burrone?
Fece appena in tempo a finire la frase. La chiamata venne
interrotta: avevano raggiunto il limite massimo di comunicazione,
la connessione era caduta. L’uomo si alzò dalla sedia e
si avvicinò al suo piccolo laboratorio domestico, dove ormai
fogli di giornali e vecchi manoscritti avevano preso il posto di
burette, bunsen e microscopi. Si gettò a capofitto sulle sue folli
ricerche, trascrivendo numeri e codici su una lavagna ormai
consumata da settimane di lavoro.
I computer di migliaia di studenti si connetterono per assistere
alla videoconferenza straordinaria del professor Macaone.
Erano passati otto mesi dall’inizio della quarantena forzata.
Le connessioni erano ormai limitate a qualche ora alla
settimana, infatti le lezioni non avvenivano più da almeno un
paio di mesi. Il professore continuava comunque ad avere un
grande seguito, tra i suoi studenti e non solo: nel marasma
di dati, idee, scelte politiche che il mondo aveva adottato per
contrastare il virus, la sua voce spiccava tra tutte come una tra
le più rispettabili. Ma il mondo era troppo preso dall’emergenza
per dar ascolto a qualsiasi persona, per quanto questa
fosse saggia, e ormai la gestione del problema era diventato
di per sé parte del problema. I suoi studenti però lo consideravano
una linea guida, un piccolo focolare di speranza per
uscire dalla nefanda crisi, e la notizia di una sua conferenza straordinaria aveva acceso un barlume di fiducia dopo settimane
di silenzio da parte del professore. Al momento della
connessione, la stanza di Macaone era vuota. Gli studenti attendevano
impazienti l’arrivo dell’uomo, guardavano lo scorrere
del tempo, consapevoli che presto o tardi la connessione
sarebbe caduta. Quando egli comparve sui loro schermi, tutti
rimasero a bocca aperta: davanti a loro non c’era il solito
professore, elegante e rigoroso, bensì un uomo malmesso, dal
capo curvo e lo sguardo perduto. Macaone si schiarì la voce e
iniziò a parlare.
– Cari studenti, non ci sentiamo da molto tempo ormai.
Non saprei nemmeno dire da quanto, ho smesso di contare le
ore e i giorni, mi affido alla luce del sole e a quella della luna
per far scorrere il calendario biologico. Ho lavorato molto in
questo periodo: dapprima mi sono concentrato su un gran
numero di test per combattere il virus, ma questo lo sapete
già, ne abbiam parlato le volte scorse. Ad oggi, nessun tipo di
risultato. Su quel campo abbiamo perso.
Le migliaia di facce incollate ai computer ascoltavano preoccupate,
sia per i pessimi risultati nelle ricerche, sia per le evidenti
cattive condizioni di salute del loro mentore. Dopo una
breve pausa di riflessione, il professore continuò, con voce
sommessa: – Io e i miei colleghi dei vari laboratori non siamo
più nelle condizioni di continuare il nostro lavoro, non ci viene
fornito più nessuno strumento e anche le scorte alimentari
iniziano a scarseggiare. Il numero dei morti sta superando
quello dei vivi. Nel campo scientifico, il virus ci ha abbattuto.
Affidandoci ai dati, il genere umano dovrebbe estinguersi entro
un paio d’anni.
I giovani più sensibili, nell’udire quelle parole, piansero, e
quelli più tenaci ebbero un sussulto d’ira. Il professore continuò:
– So che quel che state provando ora è disperazione,
ma non dovete temere. Ho detto che sul campo scientifico stiamo perdendo, ma noi combattiamo anche in altri campi,
per esempio quello delle probabilità e del destino.
La curiosità prese il posto dello sconforto nel cuore degli
studenti.
– Dicevo che ho lavorato molto in questo periodo, ma
non solo nel mio solito campo, anzi, non ci lavoro da tempo
ormai! – Disse Macaone con voce squillante e pazza, sempre
più vigorosa, in un crescendo di follia. – Ho iniziato a studiare
le stelle, ragazzi. Studio le casualità e la ciclicità della storia,
e studio come queste vengono a contatto tra loro. Studio il
mondo come il navigatore studia il mare. E vi assicuro che in
questo campo vinceremo!
La confusione dominava la rete. Tra i ragazzi iniziava a
svilupparsi l’idea che Macaone fosse diventato completamente
pazzo. La ferma lucidità del loro professore era oramai
ricordo lontano, se l’era portata via la pandemia e con quella
anche una delle ultime possibilità di riuscire a debellare
il morbo. Il professore si mise in piedi davanti alla webcam,
mostrando il suo corpo scheletrico avvolto da una vecchia
camicia a brandelli.
– Un filo conduttore unisce tutti gli eventi catastrofici della
storia dell’uomo. È un filo invisibile, ma io sono riuscito a
trovarlo. Sono riuscito a trovarlo, sì… Ormai è fatta…
L’espressione dell’uomo ricordava l’iconografia di un demone
cinese, dagli occhi di fuoco e la lingua serpentina. Si
voltò con uno scatto e prese una manciata di carte dal bancone
del suo laboratorio.
– Guardate, leggete… Queste le ho scoperte io… Sapete
quando ci fu la grande peste di Londra? Nel 1665, e finì l’anno
dopo, proprio nel periodo in cui Henry Foe, un sellaio
che stava trascrivendo quei giorni terribili, morì. Era un testimone
di quei giorni, tant’è vero che i suoi scritti possiamo
consultarli ancora oggi. Leggete, questo è un documento uf
ficiale, – disse, mostrando un foglio antico conservato in una
cornice di vetro. Prese altri fogli e si rivolse nuovamente ai
ragazzi, con entusiasmo palpabile.
– Questo sapete chi è? No? Questo è Jean Tarrou, medico
francese in prima linea. La peste a Orano degli anni ’40 si
fermò solo quando lui spirò. Non capite? I morbi si fermano
dopo che i loro nemici più angusti tirano le cuoia. E questo?
Questo è Filippo Pacini, morto nel 1883 dopo aver condotto
numerose ricerche analizzando le feci dei contagiati dal colera:
la comunità scientifica non prestò attenzione alle sue scoperte,
e l’anno dopo la sua morte il colera scoppiò in Italia,
causando migliaia di morti. E sapete perché? Perché il nemico
della malattia era già morto, dunque aveva strada libera. Ma
questi sono solo alcuni! Vedete: c’è Gian Giacomo Mora, Riccardo
Illuvie, il principe Prospero…
Mentre continuava a elencare nomi e a trovare assurde connessioni
tra quei personaggi e il ciclo della Terra e degli altri
pianeti, come uno stregone allucinato che ripete la ricetta per
una folle pozione, la compassione si impadronì dei giovani che
assistevano al delirio del professore. Il virus aveva preso anche
lui, indirettamente, lo aveva ridotto a uno squilibrato. Un pilastro
della scienza fatto a pezzi dalla sua stessa mente. Quando
terminò di elencare, l’uomo si avvicinò alla camera e chiese: –
Avete letto il mio ultimo romanzo, giovani? – Poi si allontanò
e salì su una sedia. Dalla camera si poteva vedere il suo corpo in
piedi, ma la testa e le spalle rimanevano fuori dall’inquadratura.
– Ci vuole il sacrificio di un uomo, un uomo determinante…
un uomo che fa paura al demone. Bisogna seguire le stelle,
porre fine all’avvento di una buia era… Queste erano le parole
dell’eroe del mio romanzo, ricordate? Ancora un piccolo passo…
Ancora un piccolo passo…
Dallo schermo degli studenti, d’improvviso, apparve il
corpo impiccato del loro amato professore.
Il sole brillava sopra piazza di Spagna. Centinaia di persone
occupavano il ciottolato, mantenendo una distanza di
un metro l’una dall’altra come le nuove regole imponevano.
La giornalista si stava aggiustando la mascherina sulla bocca,
quando il cameraman la invitò ad iniziare la diretta.
– Buongiorno studio, buongiorno cari telespettatori. Siamo
qui a Roma in Piazza di Spagna per assistere al primo anniversario
di fine pandemia. Qui dietro di me potete vedere
centinaia di giovani studenti venuti per partecipare alla manifestazione,
ma anche per mandare un saluto al loro professore
Macaone, che ci ha lasciati un anno e mezzo fa. Determinante
fu il suo impegno nel combattere il virus, ne parliamo con il
nostro ospite: lo storico Cristoforo Nobile. – La giornalista
rivolse il microfono verso l’uomo, che intervenne.
– Sì, il professor Macaone ha avuto un ruolo essenziale nel
contrastare il morbo, i suoi scritti scientifici lo dimostrano.
Ma la cosa quantomeno assurda di questa vicenda è che non
fu grazie a quelle ricerche che riuscimmo a vincere il virus, ma
grazie alle sue opere di narrativa, che mai prima di qualche
tempo fa furono considerate di valore. La notizia della sua
morte, anche considerando il terribile modo in cui avvenne,
colpì prima la sua schiera di ammiratori, poi il mondo intero;
e così, come spesso accade in questi casi, le sue fatiche artistiche
acquisirono gloria e interesse globale, e influenzarono i
modelli di pensiero. Le politiche amministrative, l‘economia,
le relazioni istituzionali vennero gestite diversamente, prendendo
spunto dalle fantasiose storie di Macaone: pensiamo
anche solo alle accortezze che abbiamo oggi nel passeggiare
per le nostre città, oppure a come facciamo la spesa. Abbiamo
completamente ribaltato il sistema di gestione del mondo
per affrontare la pandemia. Tutto grazie a un tremendo gioco del destino. Tre anni fa vivevamo in un modo completamente
diverso, eppure adottando questi metodi oggi possiamo dire
di aver vinto un’incredibile battaglia. La morte di Macaone
ci ha fatto vincere. Per quanto sia crudele, non credo ci sia un
modo diverso di dirlo.
Donatella alzò gli occhi dallo schermo, il suo bellissimo
sorriso le risplendeva sul volto. Guardò fuori dalla finestra: un
uomo le faceva segno di raggiungerla. Si alzò di scatto e corse
verso la porta d’ingresso. Fuori, tra i verdi prati e il cinguettio
dei passeri, la aspettava l’uomo. Lei fece un piccolo passo e
furono di nuovo insieme.