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Dietro la magia di Yestering

Come nasce un romanzo? Quali sono le fonti di ispirazione per chi lo scrive e per chi lo illustra? Abbiamo chiesto abbiamo chiesto a Fepa, Curzio e Clara di raccontarci qualcosa di più sull’origine del loro lavoro e sull’ispirazione che li ha portati a dar vita a Gli abissi della città di Yestering.

Ecco le loro risposte!

Fepa

«Lo scrittore è sempre pronto a innamorarsi. S’innamora di altri scrittori ed è così che impara a scrivere». Non ricordo più di chi siano queste parole, so di essermele appuntate tanto tempo fa, mentre studiavo e mi sembrano perfette. Questo perché non sono certa di saper riconoscere con esattezza tutte le suggestioni e i riferimenti letterari che mi vorticavano nella testa mentre scrivevo con Curzio Gli abissi della città di Yestering. So soltanto di essermi innamorata di molte voci, di innamorarmene continuamente e di lasciarmi coinvolgere da loro.

I racconti assurdi de La boutique del mistero di Buzzati sicuramente hanno contribuito e, come è stato già detto, Calvino con le sue meravigliose Città invisibili, un po’ di Kafka in tutte le sue forme e l’immancabile Rowling, semplicemente perché vorrei avere una mente come la sua, capace di creare un immaginario incantato così forte e così vivo, o anche solo perché sono figlia degli anni ’90. Sento di potermi definire, evidentemente, una fan del realismo magico, quindi posso mettere nel calderone della mia fantasia, a casaccio per tempo e spazio, anche Gabriel Garcia Marquez, E.T.A Hoffmann e Jonathan Safran Foer.

Curzio

Non c’è stato un vero e proprio libro che mi ha ispirato nello scrivere Gli abissi della città di Yestering.

Sicuramente ci sono tre libri per ragazzi che mi hanno mostrato quello che mi piace in un romanzo: La serie di Harry Potter di J. K. Rowling. Mi ha insegnato che un bel romanzo deve avere una storia avvincente, una trama con colpi di scena. Devono capitare cose, in poche parole. Una serie di sfortunati eventi di Lemony Snicket. Mi ha insegnato quanto è bella una buona dose di ironia e divertimento, oltre all’uso dello pseudonimo. Un ponte per Terabithia di Katherine Paterson. Mi ha insegnato che a me piacciono i libri in cui, ad un certo punto, ci si commuove.

Clara Brioschi

Ero in prima elementare e la maestra ci disse di scegliere un libro dallo scaffalino della classe: potevamo portarlo a casa per leggerlo quando volevamo. Il mio sguardo si posò subito su Le straordinarie avventure di Caterina, di quella che solo anni di scuola dopo scoprii essere Elsa Morante. La copertina, quasi interamente bianca, era attraversata solo dal disegno di un trenino sul quale sedeva una bambina: era Caterina? Quali avventure avrebbe vissuto? Dove sarebbe andato quel treno? Leggendo lo avrei scoperto, leggendo avrei capito come completare quel disegno. Forse già da lì è nata la mia passione per le illustrazioni al tratto che lasciano spazio all’immaginazione? (e i gli oggetti inanimati che hanno delle facce?)

Di certo, poi, è continuata attraverso il tratto veloce, aguzzo e acutissimo di Quentin Blake. Nella mia mente di bambina era come se lo scrittore stesso smettesse di scrivere e si mettesse a tratteggiare personaggi e oggetti sulla pagina, senza nemmeno cambiare penna.

E poi ci sono i disegni a gessetto di Bert, sul marciapiede davanti all’entrata del parco: così belli e perfetti che potevi saltarci e viverci dentro. Da bambina ricordo con chiarezza di averci provato, a saltare nei miei stessi disegni. Non funzionava e pensavo fosse perché mi mancava la magia. Da grande poi ho letto la saga di P.L. Travers (perché non si è mai troppo grandi per un libro per bambini) e ho scoperto che la magia non era un incantesimo, ma stava nell’immaginazione e nello sguardo con cui i bambini guardavano le cose. Quindi, forse, in quei disegni ci sono entrata, e non ne sono mai più uscita.