Giovanni – Lavori in corso
Ecco il secondo capitolo del romanzo Giovanni di Massimo Berri!
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Capitolo due
Lavori in corso
Giovanni stava camminando verso l’auto, parcheggiata nella notte poco distante dalla fermata del bus. C’era poca gente in giro, erano le nove e mezza o le dieci. Quando arrivò sull’argine del torrente, un corso d’acqua con un grande letto quasi asciutto, vide una piccola squadra di operai che lavoravano in un cantiere, tra le erbacce, e gli sembrò molto inusuale. A quell’ora… nel torrente?
Si avvicinò al parapetto. Lavoravano alla luce fluorescente verde di una lampada appoggiata a terra e stavano… non si capiva cosa cavolo stessero facendo. La banda larga? Proprio quella sera aveva sentito dire che il presidente del consiglio aveva dichiarato che si trattava di una priorità assoluta. Però… voglio dire… ci si erano buttati così a capofitto?
Giovanni si trovava nell’alone di luce di un lampione dell’illuminazione stradale. Si tirò su il colletto perché era freddo e umido. Uno degli operai si girò verso di lui e la luce verde ne illuminò il volto. Aveva occhiali da saldatore e un elmetto giallo. Solo che non aveva naso… e aveva le squame. Si guardarono. Forse due secondi. L’operaio-pesce prese un arnese dalla cintura e fece fuoco. Un raggio giallo-uovo si staccò con un “bzzz” dalla pistola spaziale e colpì il lampione il cui metallo semplicemente smise di essere per un metro buono. La parte di lampione rimasta sospesa nel vuoto non si raccapezzava… poi la luce morì e tutto caracollò e si capì che si stava sfrancicando in basso.
Approfittando del buio improvviso Giovanni si gettò a terra mentre raggi-uovo sibilavano sulla sua testa andando a smolecolare un cartello di divieto di sosta, una mutanda stesa e altre cianciafruscole di poca importanza.
Giovanni strisciò sui gomiti, si faceva così in quelle occasioni, e poi zizzagò a lungo più o meno in direzione della sua auto. Nessun raggio-zabaglione. Niente. Sentì crescere la speranza. Corse a perdifiato e finalmente giunse alla macchina. Trovò faticosamente le chiavi. Tlac! Entrò e si sedette. Il suo petto si dilatò… respirò un attimo.
Fu lì che sentì la voce metallica. “Met-ti-pu-re-in-mo-mo…moto!” Metallica e balbuziente.
Sappiamo che Giovanni è ancora vivo oggi, e questo significa che il suo cuore non si schiantò anche se ci andò piuttosto vicino.
Tre operai ittico-marziani stavano seduti (stretti) sul sedile dietro. Uno, ovviamente, gli puntava contro l’ordigno annichilente.
La voce ripeté “Me…me-…me-me… grrr-met-ti -iiin mo-to!”
Non aveva alcun senso. Però pensò che a quel punto… girò la chiavetta, cercò di darsi un’aria qualunque e chiese “Dove si va?”
“Tu vai. Poi noi ti diciamo dove gi-gi-girare”
[N.d.A. Il lettore continui, anche nel seguito, ad immaginare una voce metallica, checchezzante e a scatti, un po’ tipo fantascienza, però sfigata]
Giovanni guidava nelle vie della periferia, nella notte suburbana che si apprestava a scenario del quasi nulla. La scenografia, senza la rappresentazione, si mostrava ancora più sinistra e affascinante. Giovanni si era sempre un po’ meravigliato che quei luoghi, già da bambino, con il loro squallore aleatorio e straccione, gli ispirassero due sentimenti egualmente intensi e assolutamente opposti: un orrore totale e una tenerezza infinita. Uno dei pesci (il capo), gli intimava le istruzioni ad ogni bivio, invero in modo un po’ pedante.
Presto si ritrovarono in un viale punteggiato da fuochi accanto ai quali giovanissime ragazze africane stazionavano o improvvisavano brevi danze. Uno dei pesci maneggiava una specie di dittafono in cui sibilava dei versi. Il capo gli indicò gli accampamenti ed emise un verso basso, quasi un borborigmo. “Ferma là”, disse a Giovanni.
C’era una ragazza di una bellezza devastante, a venti metri da loro, e il terzo ittioperaio estrasse un cilindro, lo appoggiò al petto e si udì un rumore come di lavatrice che fa i prelavaggi…
Giovanni si azzardò a dire “Non è molto prudente stare qui a… insomma a fare quel che fate. Ma cosa fate?”
“Non è tempo di domande. Noi non sappiamo ancora se tu resterai vivo o se dovremo ucciderti. Attendiamo soluzioni dal calcolatore centrale.”
A Giovanni gli venne un nervoso… ma come? Ma sempre lui? Ma che cazzo c’entrava coi marziani e le bagasce? Era perché era sempre stato troppo bravo. Se quella sera se ne fosse andato in qualche discoteca di anfetaminomani e poi fosse tornato all’alba, invece che andare dall’anziana madre, che poi gli diceva sempre che non era il caso (la troia!), e a guardare la stupida televisione…
“Bene, abbiamo finito.” Disse il capo. Poi si sentì un “Piii… ” molto acuto.
Il capo lo guardava, o almeno così sembrava perché dietro agli occhialoni da saldatore gli occhi non si vedevano. Se c’erano. Parlò.
“Bene. Puoi fare qualche domanda. Il consiglio centrale ha deciso che dovremo ucciderti con una probabilità del 96,75 %, circa. Quindi si può dire che in un certo senso… comunque se fai le domande giuste, quantitativamente e qualitativamente, la probabilità di vivere si alza. Se fai quelle sbagliate… Ma non è importante.”
“Come non è importante?”
“Temo che questa verrà calcolata come una domanda sbagliata. Ma non sono io a decidere.”
Dexter Gordon – Darn that dream
https://www.youtube.com/watch?v=8s8rHrLcSts
Giovanni sentiva un fischio alle orecchie e un vago pallonamento nella testa… le tempie gli pulsavano. Gli venne in mente quando la professoressa di chimica tirava fuori un argomento, un soggetto per il quale non aveva nemmeno una nozione vaga da giocarsi, nemmeno un’idea di dove fosse saltato fuori… rimaneva preso in quel tempo che si dilatava in attesa dell’Apocalisse.
“Hai letto il Libro dell’Apocalisse?”, chiese il capo?
Ma no!!! Se leggevano nel pensiero era finita! Perché non lo ammazzavano subito questi… whops… ripensò…. questi emissari di una civiltà aliena tecnologicamente più avanzata della nostra?
“Se ti stai domandando se leggiamo nel pensiero, la risposta è no. Abbiamo provato ma non è possibile farne granché. Il vostro pensiero è confuso e contraddittorio e non si riesce a cavarne un acca. Però ci sono cose forti come “Apocalisse” o altri pensieri di morte che lasciano tracce molto forti. Comunque l’hai letto?”
“Sì… ma tanto tempo fa… dei pezzi.”
“Fai pure le tue domande, se vuoi.”
“… preferirei di no… dico per ora.”
“Bene. Vai da quella parte”.
Le ragazze africane sembravano deluse e facevano ampi gesti mentre l’auto transitava davanti al loro assembramento. Seguendo le indicazioni, Giovanni guidava in direzione del centro del sobborgo, passando di nuovo di là dal torrente nella notte che si faceva più silenziosa. E anche i suoi clienti, dietro, erano silenti e quasi immobili. Pensò che quello del tassista fosse un lavoro di merda.
“Perché -merda-?” Chiese il capo. “Se hai bisogno ti puoi fermare.”
Eh no!!! Pensò Giovanni, non c’è niente di peggio di quelli che ti leggono dentro e ti ci leggono male!
“No, no… “, si limitò a dire. Non ho bisogno.”
Dopo un numero di altri sopralluoghi il capo lo fece fermare nella piazza, poco distante da casa di sua madre. Era l’una circa. Non c’era nessuno. Due pesci spaziali uscirono dalla macchina mentre il terzo restava a controllare Giovanni. Si vedeva poco del loro volto e un passante avrebbe dovuto andare molto vicino per notare le squame e il resto. Apparentemente erano molto interessati ai bidoni della spazzatura. All’altro lato della strada un grosso topo sgusciò da un tombino, fiutò l’aria e poi cercò la fuga in direzione di un cancello.
Il capo fece fuoco. Il raggio non era color uovo, questa volta, ma un color BigBabol chiaro. Fu come l’imbalsamazione istantanea. Il secondo marziano, a un cenno del capo, andò a prendere l’esemplare e lo mise in una specie di thermos.
“Oh cazzo!”, pensò Giovanni. Gli sembrò che il capo si girasse a sogguardarlo per un attimo. Cercò di pensare qualcosa di neutro… quel che trovò fu la lavastoviglie di quando era bambino, General-Electric, aveva un pomelletto che non aveva mai capito a cosa servisse e quel coso che girava che faceva tanto elicottero… e poi pensò che il topo lo imbalsamavano e lui invece lo volevano annichilire! E non era bello…
Il capo faceva dei test sulla spazzatura con dei robi che si illuminavano.
“Forse lavorano per le lobby del riciclaggio”, pensò Giovanni.
I due alieni rientrarono nella berlinetta. A parte il thermos con il topo non avevano raccolto altro. Il capo parlò.
“Noi esaminiamo la spazzatura perché è molto più informativa del vostro pensiero ai fini della comprensione della vostra cultura e della vostra vita sociale.”
Questo a Giovanni sembrava anche un po’ eccessivo, insomma, sì, il problema della spazzatura esisteva ed era un fatto rilevante, però…
“Fate quel che credete… ” Disse con aria poco convinta. “A me da piccolo avevano detto che se buttavi la spazzatura all’ora sbagliata la aprivano e scoprivano chi eri e ti facevano la multa! Ci ho creduto per un sacco di tempo… e forse era vero, boh?”
“Noi stiamo esplorando la Terra per decidere il da farsi, ovviamente. Tu potrai tornare alla tua vita, provvisoriamente, anche se come sai dovremo ucciderti. Il provvedimento comunque non è ancora operativo e il calcolatore deve eleggere i momenti statistici per l’esecuzione. Se vuoi puoi provare a dire a qualcuno di questa storia… non credo che ti crederanno. Come le chiamate adesso? “Feik nius”? Comunque non te ne verrebbe niente di bene. Inoltre devi considerare che l’impiego economico della Terra dipende solo dalle decisioni del calcolatore. Se decidesse che val lo sforzo, tutto avverrebbe prima che gli uomini possano neppure accorgersene. Molti peraltro si troveranno meglio, è successo su un sacco di pianeti. A presto.”
I tre scesero e si dileguarono nella notte.