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L’avocado del diavolo

Qualche anno fa un professore mi disse che un buon libro non dovrebbe mai spiegare tutto su un argomento, ma suggerire altre domande, stimolare la ricerca.

Mentre facevo l’editing de L’equilibrio del cibo (Edizioni Epoké, 2021) ho ripensato a quelle parole, perché il libro di Federico Sangiovanni di dubbi e curiosità me ne ha lasciati molti.

Intanto, una breve presentazione: l’autore ha diviso l’opera in otto capitoli per presentare ciò che lui chiama appunto “l’equilibrio del cibo”, ovvero la risultante di tutti gli aspetti che fanno parte del sistema food, dalla produzione alla distribuzione, dalla manipolazione all’etichettatura, dal globale al locale, dalla storia al futuro. Si può già capire come sia impossibile entrare nel dettaglio di questo immenso discorso a meno che non vi si dedichi una collana antologica, ma non è questo l’obbiettivo dell’autore. Sangiovanni preferisce parlare a un pubblico ampio (lasciandosi andare a tecnicismi solo quando scrive della percezione dei gusti), mantenendo una narrazione scorrevole e alla portata di tutti.

Federico Sangiovanni

È proprio questo approccio che mi ha lasciato con la voglia di saperne di più. In particolare – e chiamo qui a testimoniare la mia cronologia web – mi sono perso sul capitolo riguardante la globalizzazione, e la straordinaria opportunità che ci offre il mercato globale: in un raggio di un chilometro da casa nostra possiamo facilmente trovare prodotti provenienti da ogni parte del mondo, in grandi quantità e in ogni stagione dell’anno.

Certo, scritta oggi è una frase di poco effetto, ma presuppone uno sforzo tecnologico e logistico che non ha precedenti e che avrebbe entusiasmato ogni uomo di inizio Novecento. E mentre noi compriamo l’avocado per la salsa guacamole o per un sushi casalingo (non provateci a meno che non siate bravi cuochi, parlo per esperienza) mica pensiamo a come è arrivato quel frutto da noi, anche perché in qualche modo l’avocado non ce la fa pesare. Che sarà mai? Stava proprio di fianco alle mele e ai pomodori, cosa avrà di diverso? Beh, qualcosa di diverso c’è, e per rendere più chiaro il discorso faccio parlare direttamente il libro:

Guardando la tv o sbirciando le news su internet sentiamo parlare di importazioni a basso costo di manodopera, abbattimento del mercato interno, dazi, trust di produttori creati per mantenere il monopolio della produzione abbattendo la concorrenza, scarsa tracciabilità del prodotto… tutti risvolti perversi della globalizzazione, che ci trascinano costantemente verso un mercato meno equo e ci fanno perdere il contatto con le origini dei cibi che consumiamo. 

Restiamo pure sul nostro amico avocado – baluardo dell’alimentazione esotica contemporanea – che ho tirato in ballo non a caso: il Messico è il primo esportatore mondiale del frutto, e grazie alla domanda mondiale sempre crescente in una decina d’anni è riuscito a dare una botta gigantesca al PIL interno tramite il commercio di questa materia prima. Il prezzo da pagare, però, è altissimo. L’innocente avocado, infatti, beve più di un lama. Ha bisogno di un’irrigazione sostanziosa e costante, caratteristica che cozza con la scarsità d’acqua che contraddistingue il Messico. Ma il business è troppo redditizio per lasciarselo scappare, tanto che l’avocado è stato rinominato “oro verde”… e quindi? Quindi si prova a privatizzare l’acqua, manovra che agevola le multinazionali e penalizza i piccoli agricoltori che scavano pozzi per irrigare i campi. Ma non solo.

Il profumo dei soldi ha attirato i cartelli dei narcotrafficanti, maestri degli affari che hanno imparato a diversificare come qualsiasi altra grande azienda. Dettano legge con le armi, chiedendo parte dei guadagni dei coltivatori e rapendo i produttori per poi chiedere lauti riscatti, tanto da costringere gli agricoltori ad assoldare milizie private per difendere le colture e se stessi. Per leggere una penna migliore e più informata della mia sull’argomento, vi consiglio questo articolo, “La corsa senza quartiere all’avocado. Il lato oscuro dell’oro verde” di Daniele Mastrogiacomo pubblicato su “La Repubblica” lo scorso anno.

Un membro della milizia cittadina CUSEPT a Tancitaro, in Messico, uno dei gruppi paramilitari difensori degli avocado (AFP PHOTO/Hector Guerrero/Getty Images)

In ultimo, anche se ultimo non è, abbiamo l’enorme problema ambientale. Per ottenere 500 grammi di avocado servono 272 litri d’acqua. Ciò significa che un campo di 200 ettari (come ad esempio quelli in Portogallo) assorbe tra i 3 e i 4 milioni di litri d’acqua al giorno. Le monocolture intensive sono tra le prime cause di disboscamento, lasciano i terreni devastati, inadatti a essere riconvertiti.

Potremmo poi parlare della sovrapproduzione, degli scarti, dell’inquinamento causato dal trasporto internazionale, delle centinaia di migliaia di lavoratori agricoli che vengono privati dei loro diritti, sfruttati per poche briciole quando in ballo c’è un mercato miliardario. Per tutti questi argomenti rimando al libro di Sangiovanni, perché il punto penso che ora sia chiaro. Ciò che manca al consumatore del mercato alimentare (e non solo) globalizzato è la consapevolezza. Non so voi, ma dopo aver letto L’equilibrio del cibo e aver fatto un po’ di ricerche online sulla situazione messicana non riesco più a guardare in faccia un avocado. O meglio, ci penso due volte prima di comprarlo solo per sfizio, per seguire la moda del momento. Anche perché le alternative ci sono, e anche quelle le abbiamo sotto casa.

A Novi, ad esempio, in via Paolo da Novi c’è Altromercato, membro della rete di mercati equi e solidali che garantisce il rispetto dei diritti umani dei lavoratori della filiera e pari opportunità di sviluppo, in modo da scoraggiare le produzioni a bassissimo costo di manodopera. Costa leggermente di più? Sì. Ha meno prodotti di un supermercato? Ovvio. Ma è sempre questione di scelte: siamo disposti a fare uno sforzo maggiore per salvaguardare l’ambiente, i lavoratori e la nostra salute? Se la risposta è no si può tranquillamente continuare a comperare i prodotti “bio” al discount sotto casa, basta che non crediate che lo siano veramente.

Non c’è nulla di male a mangiare la carne di struzzo dall’Australia o l’avocado, ma sappiamo veramente da dove arrivano e come sono prodotti? Chi di noi mangerebbe pollo tre volte a settimana se fosse costretto a ucciderlo e pulirlo? Chi di noi comprerebbe gli avocado per il Guacamole se sapesse che ogni giorno un messicano muore di sete per raccoglierli? La globalizzazione ci unisce in una comunità mondiale, dandoci accesso a prodotti dai quattro angoli del mondo. La scelta di farne un uso corretto e responsabile, però, resta nelle nostre mani.
Federico Sangiovanni, L’equilibrio del cibo (Edizioni Epoké, 2021)