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Nessuno può camminare per te – Capitolo Uno

Ecco il primo capitolo del romanzo Nessuno può camminare per te di Nadia Anna Maria Creca!

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Capitolo Uno

Italia, 8 settembre 2016, ore quattro del mattino. Beba dorme ma il suo sonno è agitato, un incubo, ricorrente turba il suo il suo riposo

Il locale sembra scavato nella roccia, privo di finestre e illuminato dalla debole luce proveniente da alcuni mozziconi di ceri sul pavimento. Sul fondo è possibile intravedere alcuni rudimentali sedili scavati nella roccia. D’un tratto, inatteso, un cigolio e nella parete si apre un varco. Qualcuno scaraventa una persona nell’interno, poi, tutto torna in apparenza normale, mentre a terra giace una sagoma aggraziata. Di sicuro si tratta di una donna perché nel tentativo di rialzarsi, una cascata scarmigliata di capelli scende ad accarezzarle la schiena e il corpo rivela rotondità tipiche femminili ma la penombra non permette di distinguere i lineamenti del viso. La donna non piange e non si agita ma si dirige con risolutezza verso le pareti, tastando con cura la superficie, per cercare una via d’uscita. L’ambiente è freddo e umido e la donna rabbrividisce stringendosi addosso la tunica per farla aderire al corpo, ma nel compiere il gesto qualcosa scintilla sulla sua mano destra. Alle sue spalle alcune figure a volto coperto entrano cantilenando una nenia incomprensibile, le voci, in un crescendo ossessivo di tono, ripetono le medesime parole «Yahweh elõhē sěbā’õt”». La strana processione si arresta di fronte ai seggi di pietra ed è possibile notare che uno posto rimane vuoto ma su di esso è adagiata una tunica con i bordi colorati in nero, rosso e bianco. La figura femminile inizia a tremare per il freddo e la paura portando le mani alle orecchie mentre dalla sua gola esce dapprima un lamento che si trasforma, con progressiva potenza, in un urlo disperato.

In quel preciso istante Beba spalanca gli occhi in preda all’angoscia. I battiti del suo cuore galoppano impazziti, si è resa conto che le urla disperate oltre che della protagonista dell’incubo, sono le sue, porta una mano alla gola che brucia per lo sforzo compiuto e cerca di ricordare le parole udite «Yahveh è il nome di Dio secondo gli ebrei, quindi non dovrebbe spaventarmi tanto». Poi scandisce con cura le restanti parole «Elõhē sěbā’õt…» e le ripete fino a quando riesce ad afferrare l’intero significato della frase e si rilassa con un sospiro di sollievo, «Meno male, è solo una benedizione rivolta al nome di Dio!», Beba vuole sapere, desidera comprendere il significato di quell’incubo e il motivo per cui si ripete da qualche tempo. Come sempre sorgono anche le consuete domande che non le danno pace.  «Chi sono io, perché non conosco nulla della mia famiglia?». Abbassa il volto tra le mani, vorrebbe respingere il tormento, ma un dolore acuto la riporta alla realtà. Guarda le dita arrossate e si accorge che anche le palme in alcuni punti presentano graffi profondi, questo spaventerebbe chiunque ma non lei che immagina la causa di quelle ferite.
Adesso è calma perché ha capito.
Comprendere ma soprattutto dominare gli eventi che la riguardano è la sua la ossessione. Fissa la testata del letto in ferro battuto e sul viso, prima sconvolto, compare una smorfia soddisfatta, è lui il colpevole! Per difendersi dai nemici invisibili che popolavano i suoi incubi lo ha colpito con forza provocandosi lesioni profonde alle mani che ora bruciano e sanguinano.
Il letto!  Una vera opera d’arte in stile liberty appartenuta alla nonna, un altro mistero, Nonna Elli raccontava che il pezzo d’artigianato era stato lavorato a mano con infinita pazienza, dal figlio Eleazar, il padre di Beba.

Purtroppo la nonna non aveva conservato nulla di lui. Non una foto, neppure un abito o un libro, subito dopo i funerali del figlio e della moglie aveva seppellito tutto, anche i ricordi, e Beba si è sempre dovuta accontentare di immaginarne il volto, i capelli forse aggrovigliati come i suoi, sovente si sorprende a domandarsi se avesse la pelle olivastra, come la sua. Quando l’onda dei ricordi minaccia di sommergerla, Beba stringe tra le mani la vecchia corona del Rosario appartenuta a nonna Elli, ma anche l’oggetto sacro porta con sé una domanda «La nonna era ebrea chissà per quale motivo non si separava mai da questa, che è un simbolo cristiano, già… cristiano come me, cristiana in una famiglia di ebrei, perché?»

Beba negli anni dell’infanzia era l’unica che non poteva raccontare aneddoti che riguardavano la sua famiglia, non poteva perché non conosceva nulla, e la nonna si rifugiava nel silenzio guardando lontano ogni volta che la bimba domandava. Le compagne la deridevano chiamandola figlia di nessuno e lei correva a rifugiarsi dalla nonna, ma la vecchia taceva. «Più avanti» sospirava «Quando sarai più grande, forse». Ma quel forse era un giorno che non era mai arrivato, perché la vecchia morendo aveva portato con sé i suoi segreti».

Ma un momento però era rimasto indelebile nella sua memoria, quando la nonna seduta accanto alla stufa, con il volto un poco arrossato dal calore, la faceva sedere di fronte a sé sul piccolo sgabello e le raccontava una strana leggenda, il ricordo vivido ancora ancora le fa percepire il profumo della legna che bruciava e il crepitio delle castagne che sfrigolavano.

Era magico quel momento, quando nonna Elli congiungeva le mani sul grembiule nero e iniziava il racconto che arricchiva ogni volta di particolari misteriosi e affascinanti, che la conduceva nel paese al di là del mare tra tesori antichi e re del passato, poi accarezzando con lo sguardo i ciocchi che attendevano di essere bruciati, le domandava di ripetere ogni cosa con esattezza, desiderava che la bimba rammentasse ogni cosa e Beba ancora in quel momento si domandava il perché di tanta ostinazione.

Conoscere le sue radici è il tormento che abita da sempre dentro di lei. Conosce solo che la nonna aveva origini israeliane ma è troppo poco non può bastare. Chi era davvero Elli?

Quando l’angoscia diventa insopportabile, si rifugia nel ricordo della vecchia ninna nanna che aveva cullato i suoi sogni di bambina e senza rendersene conto inizia a cantare anche lei, così un mirabile duetto valica i confini del tempo e dello spazio. «Ai nostri monti ritorneremo, l’antica pace ivi godremo. Tu suonerai il tuo liuto e un sonno placido io dormirò».
Canta Beba, canta e guarda lontano, come se le pareti della stanza fossero cristalli e le permettessero di scorgere volti cari e luoghi lontani. Lo straordinario potere della musica ottiene l’effetto sperato portandole pace.