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Dog-sitter cercasi

Ecco il primo capitolo del romanzo di Maddalena Comello “Caccia al papà perfetto”: conosciamo Stella, Alice e Luna, le protagoniste della nostra storia.

Il libro uscirà ufficialmente il 20 settembre ma è già partita la prevendita sul nostro sito: approfittatene per avere in omaggio la versione ePub subito scaricabile!


Capitolo uno
Dog-sitter cercasi

Dobbiamo trovare un papà per il nostro futuro figlio: non possiamo certo averlo da noi. L’amore è una cosa bellissima, la tolleranza è un valore poco diffuso, ma estremamente affascinante; tutto perfetto, certo, ma la biologia, purtroppo, non è un’opinione.
Stella, la mia adorabile moglie, ha pensato come prima opzione all’inseminazione artificiale, per poi concludere che, dal momento che nel nostro Paese è illegale per le coppie omosessuali e allo stesso modo per le donne single, non sarebbe stato moralmente corretto andare a farsi ingravidare artificialmente da dottori stranieri in un altro Paese, o comunque in agenzie estere, per poi far crescere qui il nostro bambino o la nostra bambina.
A quanto pare, per come la vede Stella, se accettiamo di vivere in un Paese di trogloditi, ci meritiamo le loro stupide leggi; questo suo tipo di ragionamento ha, ovviamente, a che fare con il fatto che Stella vorrebbe emigrare chissà dove, abbandonare il nostro lavoro, la nostra casa, le nostre famiglie e tutto ciò che abbiamo costruito a fatica, solo per realizzare il desiderio di diventare madri in una qualche nazione che ci permetterebbe, senza nessun dilemma e senza farci sentire incivili e sbagliate, di esserlo felicemente. “O ce ne andiamo a vivere all’estero, oppure dobbiamo escludere l’inseminazione artificiale”, questa la sentenza della mia mogliettina. Non so nemmeno se si tratti di una questione di coerenza d’animo e di coscienza, la sua, o se sia più che altro una forma di testardaggine ostinata che lei incarna da sempre.
– Possiamo diventare madri lo stesso, anche restando a
vivere qui. – Ha esordito ieri sera a letto, mentre stava leggendo una rivista di gossip e io stavo guardando una serie tv su Netflix. Sinceramente non pensavo che da quella semplice frase sarebbe scaturita una questione molto più grande.
– L’adozione non è un’alternativa fattibile, amore – le ho risposto ironica. – Se andiamo in Spagna, oppure ovunque tu preferisca, possiamo tornare a casa con un figlio dentro al tuo grembo, e così diventare madri senza dover andare a vivere via, ma con l’adozione la questione cambia, si complica, diventa impossibile da sostenere, senza contare che sarebbe piuttosto illegale da attuare.
Mi ha guardata con il sorrisino che fa quando ha in mente un’idea che in genere non mi piace. – Alice! – Ha esclamato.
La sua stupenda voce aveva un tono che non mi attirava, neanche un pochino. – Non dire fesserie! Mi è venuta un’idea migliore.
– No! – Ho detto subito, risoluta. Avrei potuto lasciarla finire di parlare, ma sapevo che ci sarebbe riuscita lo stesso, perciò tanto valeva che sapesse in anticipo che ero assolutamente contraria a fare qualsiasi cosa le stesse passando per la testa.
– Potresti lasciarmi finire? – Ho annuito. – L’alternativa vincente è trovare un padre per la nostra futura figlia. – Perché non considera mai che potremmo avere un figlio maschio? Ma, come avrete intuito, non era quella la parte più ridicola e assurda della situazione.
– Un padre? – Ho ripetuto trattenendo a stento una risata. – Vuoi andare a letto con il primo che trovi per strada così da restare incinta e permetterci di avere una figlia o un figlio?
– Certo che no, Alice, per chi mi hai presa?! – E invece il suo era un “sì”, ma con alcune condizioni. – Non con il primo che trovo per strada: – ecco. – dobbiamo trovare quello giusto con cui concepire la nostra bambina. – In quel momento pensavo ancora, o almeno speravo, stesse scherzando.
– Scherzi, Stella, vero? – Le ho chiesto francamente.
– No. Pensaci bene, è una genialata la mia. Possiamo fare dei casting o qualcosa del genere e trovare così il candidato perfetto a diventare il padre della nostra pargoletta. – Giunti a questo punto della conversazione, ero davvero terribilmente sconvolta.
– Ok. – Ho appoggiato il computer sul comodino e mi sono messa le mani tra i miei capelli cortissimi. – Cosa ti fa pensare che a me faccia piacere che tu ti metta a provinare degli uomini per scegliere con quale concepire nostro figlio, che a quel punto, perdonami, ma sarebbe il vostro? – Mi stavo
alterando appena un po’.
– Abbiamo detto che tra le due sarei stata io quella a sperimentare la gravidanza, quindi anche con l’inseminazione artificiale, tecnicamente, la figlia che avrei portato in grembo sarebbe stata mia e di un perfetto sconosciuto. In questo caso l’unica differenza è che abbiamo la possibilità di scegliere a chi appartiene lo spermatozoo che ci serve. – In generale, tutto
quello che Stella dice mi è sempre sembrato pieno di senso e perfettamente essenziale, per il semplice fatto che fosse lei a dirlo; sempre, tranne che in quell’esatto momento.
– C’è un’altra differenza che non hai minimamente considerato. Con l’inseminazione artificiale ti impianterebbero lo spermatozoo che ci serve, con il fai-da-te dovresti darti alle vecchie maniere, ci hai pensato? – Per un attimo, ieri sera, in preda alla paranoia, ho anche dubitato assurdamente e insensatamente che a mia moglie potesse piacere la banana e che avesse messo in scena questo ridicolo teatrino con l’unico scopo di liberarsi di me e trovarsi un pisello-munito con il quale fare un figlio, o come preferisce dire lei, una figlia.
– La prima domanda che faremo al casting sarà la durata dei loro rapporti sessuali. E il primo step sarà tenere quelli che durano di meno. Dovrò tenere le gambe aperte per qualche minuto al massimo, posso farcela. – Ero sempre più convinta di trovarmi in un incubo. “Tra poco mi sveglierò”, pensavo; beh, se era un incubo, non mi sono ancora svegliata.
– Perché parli di questa cosa come fossero le selezioni di
un talent show? “Tu sembri poter andare bene, tu invece no,
forse in altri tipi di selezione potrebbe dare i suoi frutti presentarsi come l’erede di Rocco Siffredi, ma non per noi, due lesbiche che vogliono concepire un bambino nel minor tempo possibile”. Ma veramente? – Ero decisamente alterata.
– Anche se… – Quando mia moglie incomincia così, si va sempre di male in peggio e infatti anche ieri sera la situazione è degenerata rapidamente. – Potremmo cercare il candidato perfetto senza che lui sappia il ruolo che dovrà svolgere, così sarà più facile trovare qualcuno che non sia un maniaco e allo stesso tempo non dovremo preoccuparci del fatto che in un futuro il ciccio voglia fare il padre. – Non so come, né perché, ma ho incominciato a pensare che tutta questa assurda faccenda avesse un senso. – Ti sto convincendo, Ninì? – Forse so perché mi sono lasciata convincere: ha cominciato a chiamarmi “Ninì” e a farmi mille moine.
– Sei una persona orribile, Nanà – ho replicato ironica io.
Dopo di che ci siamo lasciate andare alla passione, intensamente, pazzamente a tratti, come facciamo sempre, e a tratti più disperatamente del solito, quasi come se un tornado ci stesse per raggiungere e quelli fossero i nostri ultimi attimi di vita. Amo la mia donna, la donna con la quale ho scelto di condividere la mia intera esistenza. Amo svegliarmi la mattina con l’odore del tofu fritto che Stella mi passa sotto il naso, certa di convincermi così ad alzarmi dal letto; quello che non sa è che non sopporto il tofu, ma sopporto ancora meno di dover vedere qualsiasi cosa che non siano i suoi occhi quando apro i miei.
Ed eccoci qua. Come ho scritto in principio: stiamo cercando un padre per il nostro futuro figlio.
L’idea, se ho capito bene, è quella di metterci a fare dei colloqui per trovare un papà per la nostra Luna, cioè per assumere un dog-sitter praticamente. Ciascun candidato lo facciamo restare al massimo due giorni, i classici “giorni di prova” per studiarlo un po’, poi chiamiamo quello dopo, poi quello dopo ancora, così fino a esaurimento dei candidati e a quel punto
assumiamo quello che ci è sembrato il più adatto a essere padre inconsapevolmente (assurdo, vero?). Non posso credere di aver accettato di essere complice di una cosa del genere.
Sto lavando i piatti, mentre Stella è al computer che prepara l’annuncio per dog-sitter da piazzare in internet.
– Sto rivalutando l’idea di migrare come le rondini. – Urlo
dalla cucina.
– In America? – Mi domanda con tono di sfida.
– È lì che volano le rondini? – La sento ridere. È fantastica la sua risata: è meraviglioso sentirla echeggiare dentro casa.
– Non lo so. – Risponde. Strano che lei non sappia qualcosa che riguarda un qualsiasi animale.
Lascio stare i piatti e vado da lei. Le accarezzo i capelli e le
schiocco un bacio sulla guancia.
– Come te lo immagini il papà perfetto? – Le chiedo. Sinceramente dubito abbia un’idea precisa in quella deliziosa testa pensante ricoperta da migliaia di boccoli biondi.
– Determinato, intelligente, sensibile, paziente, tollerante, vegetariano, amante degli animali, di sinistra, ateo. –
Ok. Forse mi sbagliavo, sembra avere le idee molto chiare;
praticamente vuole uno che sia uguale a lei, ma al maschile. Non riesco a replicare, sto pensando a questi aggettivi accostati tra loro e non credo di riuscire a immaginarmi qualcuno che li possegga tutti, esclusa lei ovviamente; forse per questo ho sempre pensato fosse unica nel suo genere. – Qualcosa non va tesoro? Tu avevi pensato ad altro?
– Se avessi pensato ad altro? Ho accettato soltanto ieri sera, ammesso che io abbia davvero accettato, di partecipare a
questa ridicolissima “caccia al papà”; non ho avuto esattamente tempo di riflettere sulle caratteristiche che deve avere quest’ultimo.
– Penso che sarebbe perfetto se il nostro futuro figlio diventasse determinato, intelligente e sensibile, forse non mi importerebbe se fosse vegetariano o meno; ma credo sinceramente che la genetica conti solo fino a un certo punto: ogni individuo forma il proprio carattere grazie all’educazione che gli viene fornita e alle esperienze che affronterà lungo tutta la sua esistenza. Non credi, Stella? – Su per giù oserei dire che non mi stesse neppure ascoltando. Troppo impegnata a scegliere il titolo per l’annuncio.
– Stella?
– Certo, amore. Però, visto che possiamo, perché non partire avvantaggiate?
– E cosa ti fa pensare che un uomo con tutte quelle caratteristiche voglia fare il dog-sitter? – Chiedo mentre guardo la povera Luna.
– L’amore per gli animali, l’intelligenza, la pazienza. Ottime qualità. – Senza dubbio.
– Possiedi anche tu quelle qualità. Perché non fai quel lavoro? – Le domando sfidandola.
– Se non fossi insegnante di yoga, sarei sicuramente una
dog-sitter, Alice cara.
– Certo. Ho un’altra domanda per te, Stella cara.
– Dimmi, amore bello. – Generalmente chiama “amore bello” la nostra cagnolina Luna quando è incinta; non so dire come mai la chiami così solo quando è incinta e so ancora meno la ragione per la quale ha chiamato me in questo modo adesso. – Io sono a casa ogni giorno, lavoro a casa. Non pensi che i vari dog-sitter potrebbero chiedersi perché non mi guardo il cane da sola? – Ebbene sì. Io lavoro da casa, sono una scrittrice di romanzi gialli che hanno come protagonista una detective donna di nome Pina che adoro definire “La signora in giallo 2.0”.
– Hai detto bene Alice, tu lavori a casa, perciò non hai tempo di prenderti cura di Luna.
– Invece ce l’ho. Mi sono sempre presa cura di lei, è per questo che attualmente non abbiamo un dog-sitter. – Una volta io e Stella avevamo organizzato una giornata in una spa, all’interno della quale, ovviamente, non erano ammessi i cani, così avevamo pensato di chiedere al figlio sedicenne dei nostri vicini se potesse prendersi cura della piccola durante la nostra assenza. Lo avremmo chiaramente pagato, se solo lui non ce l’avesse persa. Ricordo che, tornate a casa, avevamo citofonato ai vicini, chiesto dove fosse Luna e, solo dopo aver appreso della sua “fuga”, tentato di far fuori il loro incosciente pargoletto con un vaso dell’ingresso. Se Stella
non mi avesse fermata in tempo, probabilmente ora sarei in galera.
Tornate a casa, pronte a chiamare chiunque ci capitasse a tiro, persino Chi l’ha visto? per ritrovare Luna, l’avevamo trovata sull’amaca in giardino che dormiva. Era tornata a casa, non voleva restare con quell’adolescente scriteriato; perciò ora mi domando con non poca preoccupazione se le staranno bene quelli che abbiamo intenzione di propinarle
per questa faccenda.
– Sì, tu ti sei sempre presa cura di lei; questo lo so io, lo sai
tu, ma non deve necessariamente saperlo anche quello con cui
dovrò fare un bambino. – Beh, giusto. – Gli diremo che sei
una scrittrice tremendamente impegnata e non hai tempo di
badare a Luna come vorresti, pur lavorando da casa; inoltre,
avrai la possibilità di osservare i malcapitati tutto il giorno e
questo ci permetterà di farci un’idea molto più chiara di ciascun candidato.
– Poveri uomini. – Concludo sospirando. Stella mi guarda
e sorride compiaciuta. Torno alla mia postazione di lavapiatti.
Intorno alle undici Stella è uscita di casa per andare a insegnare yoga alle solite cinque casalinghe frustrate e alle nonnine che si sono iscritte convinte che lo yoga fosse una disciplina che contemplasse, tra le altre cose, la distribuzione di yogurt a fine lezione. Mi ha lasciata sola, e per giunta con
l’ingrato compito di rispondere alla marea di sconosciuti che dobbiamo provinare tra questa sera e domani.
Hanno già chiamato in dieci. Di questi dieci, due sono minorenni, quindi – non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo – quelli li ho scartati a prescindere. Ne sono rimasti otto, che si presenteranno qui a casa nostra domani mattina. Non ero tanto in ansia neanche agli esami orali all’università.
Questa sera, oltretutto, ci attende la consueta cena mensile con suoceri e consuoceri a casa dei genitori di Stella. Gente che ho sempre trovato piuttosto strana, almeno quanto la loro figlia che mi sono sposata, e con gli altri cinque figli che hanno fatto. So quanto sia assurdo definire qualcosa, e soprattutto qualcuno, “strano” dal momento che non esiste un criterio per asserire cosa sia normale, ma non saprei proprio che altro aggettivo utilizzare per descrivere quella famiglia.
Giusto per rendere l’idea posso cominciare con il dire che il padre, Fabio (si fa chiamare Sole) e la madre Gilda (si fa chiamare Venere) sono separati da più di dieci anni, ma vivono nella stessa casa; Fabio al piano di sopra e Gilda al piano di sotto, lui con il suo attuale compagno, lei con la sua attuale compagna. Troppo strano da concepire, perfino per me che sono una donna di larga vedute e una lesbica orgogliosa.
Per non parlare poi dei cinque fratelli maggiori di Stella. Il primo, Giove, ha aperto una sorta di “palestra” nella quale vengono insegnate diverse discipline orientali, tra cui lo yoga che appunto insegna la mia Stella. Il secondo, Saturno, fa il surfista alle Hawaii; il terzo, Oceano, invece vive a Bali e si definisce una specie di santone che predice il futuro, più o
meno come quello che c’è in Mangia, prega, ama: probabilmente ha scelto il suo lavoro proprio leggendo quel libro o guardando il film. Il quarto, Vento, è scappato di casa all’età di diciassette anni e di lui ormai si sa solo che vive a qualche chilometro da qui e, a quanto pare, alleva struzzi; hanno provato ad andarci a parlare, ma non ne vuole sapere di incontrare la sua famiglia. L’ultimo, Fulmine, attualmente si trova agli arresti domiciliari perché ha fatto scappare ben ventidue cavalli da un maneggio, perché secondo lui erano tenuti in pessime condizioni ed erano trattati molto male. Ricordo
molto bene la sera di quella grandissima cavolata: Fulmine chiamò qua a casa per chiedere a Stella di unirsi a lui e io dovetti sbarrare tutte le porte per evitare che lei ci andasse.
Non mi ha parlato per più di una settimana, ma ne è valsa la pena; se non ci fossi stata io a quest’ora sarebbe ai domiciliari anche lei e Stella non riesce a resistere più di ventiquattrore senza uscire di casa: diventa isterica.
Ad ogni modo, la cosa che più mi preoccupa di questa sera non è certo l’ordinaria follia alla quale dovrò assistere, quanto piuttosto la reazione che avranno i miei genitori allo scoprire la nostra attuale “caccia al papà”. Fosse per me lascerei tutti all’oscuro della faccenda e mi preoccuperei di annunciare la lieta notizia solo al terzo mese di gravidanza, così, giusto per
evitare paranoie almeno per quei primi tre mesi, ma Stella vuole assolutamente comunicare a tutti come abbiamo intenzione di procedere riguardo a questa faccenda. Ho sempre sostenuto che l’onestà e la trasparenza di mia moglie fossero delle virtù invidiabili, ma oggi vorrei tanto non sentisse l’esigenza di condividere questa cosa con le famiglie di entrambe o almeno non con la mia. Non mi preoccupa cosa possano
pensare di me, di lei, di noi, di come abbiamo deciso di crearci la nostra famiglia, ho smesso molto tempo fa di chiedermi cosa pensassero di tutto ciò. Tuttavia, mi spaventa parecchio la reazione che potrebbero avere nell’istante in cui Stella lo dirà questa sera a tavola; temo che mia madre affronterà la situazione come ha sempre fatto, andandosene via seguita da
mio padre e dal profumo dell’incenso di Fabio e Gilda che li invitano a essere molto più spontanei e positivi. Sarebbe sicuramente peggio se i miei fossero persone inclini alle sceneggiate, però il fatto che non provino mai ad ascoltare e magari comprendere il mio punto di vista sulle cose è ugualmente spiacevole.
Stella è appena tornata a casa. Raggiante, splendente come sempre. Luna la accoglie e la riempie di baci: i miei amori sono un incanto.
– Hai risposto alle chiamate per l’annuncio vero Alice? –
Mi chiede sospettosa.
– Mi ferisce la tua mancata fiducia, donna – rispondo. Si
avvicina e mi dà un bacio, uno bello, caldo, dolce com’è lei.
Ah, come vorrei che il mio amore e il mio desiderio bastassero a donarle un figlio.
– In quanti hanno chiamato?
– Dieci. Ma due sono minorenni e li ho scartati. Gli altri otto verranno qui per il colloquio domani mattina. – I suoi
occhi si sono illuminati.
– Otto? È andata anche meglio di quanto pensassi – esordisce. La solita vecchia ottimista. Io non sarei troppo entusiasta, potrebbero essere degli imbecilli o dei ladri in cerca di una casetta carina da derubare. – Vengono a orari diversi?
– Sì, ho pensato fosse meglio fare a ciascuno un colloquio individuale, specie considerando l’effettiva motivazione della nostra richiesta di “aiuto” con Luna. – Faccio le virgolette con le dita. Linguaccia. Ricambio.
– Perfetto. Ti dispiace se domani assisterà ai colloqui anche Giove? Vuole capire se questo nostro metodo può funzionare anche per lui e Carlo, ma al contrario ovviamente.
– Credevo non volessero figli. Aspetta un attimo, hai già detto tutto a tuo fratello? – Domanda inutile la mia. Me l’ha appena detto.
– Non ho resistito. – Non ha resistito.
– So che avevamo deciso di comunicarlo ufficialmente a
tutti questa sera, compresi Saturno, e Oceano in videochiamata, ma ho passato tutta la giornata insieme a Giove, come
facevo a non dirgli nulla? – Quando nomina i suoi fratelli tutti in una volta mi capita di sentir suonare, dentro la mia testa, la sigla di un programma del National Geographic.
– Proprio allo stesso modo in cui riuscirai a non dire al nostro futuro dog-sitter qual è il vero incarico che sarà inconsapevolmente chiamato a compiere – sospiro. – Perché riuscirai a non rivelare nulla, giusto? – Annuisce.
– Certo che sì! Sono due cose diverse. Giove è mio fratello, a lui non riesco a nascondere nulla, lo sai.
– Anche al nostro panettiere non riesci a nascondere nulla. – Proprio così. Circa un anno e mezzo fa, io e Stella stavamo facendo una pedalata in bicicletta in mezzo ai boschi non lontano da qui, a un certo punto ci siamo fermate per permettere a Luna di fare pipì; la cagnolina curiosa ha pensato bene di andare proprio dietro al cespuglio in cui una coppietta stava amoreggiando. Appena io e Stella ci siamo accorte della presenza di quegli estranei siamo andate a recuperare Luna per portarla via di lì, in quel momento ci siamo rese conto che la “lei” della coppia era la moglie del nostro panettiere, ma il “lui” non è un abile mastro panificatore. Indovinate un po’ come ha fatto a sapere del palco di corna che aveva in testa Gianni, il simpatico fornaio? Esatto, ci ha pensato mia moglie a riferirglielo: “Come potevo non dirglielo? Lo conosciamo da tanto, è praticamente uno di famiglia”. Compriamo il pane al suo negozio, il pane.
– È come se fosse di famiglia. E poi meritava di sapere. Se io ti stessi tradendo, preferiresti restare all’oscuro di tutto oppure saresti felice se qualcuno te lo venisse a riferire?
– Quanto credi che fosse felice Gianni quando gli hai spifferato tutto quanto?
– Quindi pensi sia meglio la via dell’ignoranza, dell’oscurità, della menzogna. – Alzo gli occhi al cielo.
– Se tutto va in porto, avrò consapevolmente le corna, quindi è inutile che mi metta a pensare se sia meglio o peggio sapere di assomigliare al papà di Bambi. Il punto è se tu sarai in grado o meno di mantenere il segreto con il padre che sceglieremo.
– Non dirò nulla, Alice, credimi, amore mio, mi cucirò la bocca. – Brava la mia topolina. La abbraccio. – Ma con la nostra famiglia è diverso. A loro diremo tutto stasera e, anche se è probabile che Giove abbia già anticipato qualcosa, vedrai che saranno tutti sorpresi ed entusiasti. – Come no.
– I miei resteranno sicuramente sorpresi. Quanto a “entusiasti”, non ci spererei troppo.
– Comunque vada, tu non essere troppo dura. In fondo loro si preoccupano tanto per te perché sei la loro unica figlia, lo ripetono in continuazione.
– Non si preoccupano per me, semplicemente non mi vogliono ascoltare, non mi hanno mai ascoltata, mai. Il primo giorno di scuola elementare tornai a casa e dissi a mia madre e mio padre di essermi innamorata di una compagna di classe, sai loro cosa fecero? – Domando quasi retoricamente, solo per dare un tono più drammatico alla mia narrazione.
– Si misero a ridere. Lo so, me l’hai raccontato miliardi di
volte, vita mia; so che loro non ti hanno mai ascoltata, non hanno mai accettato i tuoi orientamenti e non hanno mai provato a capirti davvero, ma…
– Il punto è un altro, Stella. Avevo solamente sei anni e mia madre ne aveva trentuno. Se solo mi avessero degnata di qualche attenzione in più, avrebbero capito che ero molto seria, che molto seriamente mi sono sempre piaciute le donne e così avrebbero potuto rimediare facilmente alla sofferenza di sapermi lesbica, mettendo al mondo altri figli: di certo almeno uno sarebbe diventato come volevano loro. Nessuno si
sarebbe più dovuto “preoccupare” di me. – Oggi le virgolette sembrano essermi molto utili.
– Non l’avevo mai pensata in questi termini. – Neanche io a dire il vero. Mi siedo e lei si siede al mio fianco. – Però ormai è troppo tardi e, figlia unica o no, preoccupazioni o meno, loro ti vogliono bene per quella che sei.
– Non è vero. Non mi vogliono bene per quella che sono,
mi vogliono bene nella speranza che io cambi.
– E quante probabilità ci sono che tu possa cambiare, Alice? – Mi chiede, prendendomi le mani tra le sue. Tremavo come una foglia fino a dieci secondi fa.
– Zero per cento – rispondo secca. Nessuna probabilità che io diventi un’altra, perché mi amo così come sono e amo anche di più la parte migliore di me, quella che adesso mi sta guardando dritta negli occhi.
– E loro lo sanno. Per questo ti vogliono bene, nonostante la consapevolezza che non cambierai mai. – Sapere di essere amata da qualcuno non mi è mai bastato per essere felice, ho bisogno di sentire, vedere, percepire qualsiasi tipo di amore. Credo infatti che sappia amare davvero soltanto chi trova
sempre un modo per dimostrarlo e non chi ha solamente il coraggio di dirlo.
– Va bene. – Chiudo così il discorso. – Andiamo a prepararci per questa cena rivelatrice, mia dolce Stella.
– Ti amo, Ali – sorrido. – So che dici che non hai bisogno di sentirtelo dire, perché avverti continuamente il mio amore, però io ho voglia di dirtelo: ti amo. – Sorrido anche di più.
– Ti amo anch’io. – Conciso, ma tremendamente esatto.