Era solo un po’ più vecchio – Cominciano i lavori
Ecco il secondo capitolo del romanzo Era solo un po’ più vecchio di Francesco Patrucco e Massimo Bagna!
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Capitolo 2. Cominciano i lavori
Era grosso e caldo, l’appartamento. Un caldo insopportabile, afoso, senza speranza alcuna di non inumidire le lenzuola del letto in cui Marco dormiva e il grembiule con pettorina che Matteo usava per disinfestare e annientare l’ultimo acaro della casa. O almeno, cercava di farlo.
Quel luglio infernale procrastinava anche gli impegni individuali dei due verso il Ministero dell’Istruzione: entrambi commissari interni per l’Esame di Stato per l’anno corrente. Entrambi con obbligo di correzione della seconda prova scritta, semplicemente in edifici differenti, ma neanche troppo distanti. Marco nutriva la speranza che i suoi improperi, dopo la quarta interrogazione non così soddisfacente nella minuscola aula in cui la temperatura arrivava ormai a sfiorare i 40 gradi, potessero giungere a Matteo, che certamente era in un mood differente. Sicuramente compunto, con lo sguardo algido gettato sulla preda, pronto a colpire a suon di articoli e commi. Sperava che il suo lamento giungesse al coinquilino, solo per infastidirlo e fargli perdere quel suo aplomb che tanto gli invidiava.
Anche quel giorno tornarono a casa dopo aver svolto i loro doveri scolastici. Entrarono, si salutarono con un piccolo cenno: inutile chiedere come fosse trascorsa la mattinata, la risposta era sempre la stessa, vale a dire “di merda!” per Marco, “senza avvenimenti degni di nota” per Matteo. Per essere precisi, Marco tornò qualche minuto dopo rispetto a Matteo, che era già seduto alla piccola penisola della cucina davanti a un piatto di insalata di riso. Si sedette dinanzi a lui, consumando silenzioso lo stesso cibo. Al termine del lauto pranzo, gli chiese:
– Matteo, hai da fare oggi pomeriggio?
– Si, riposarmi un po’. Questo caldo mi confonde, per non essere volgare.
– Va bene. Ascolta. Vado a farmi quattro passi in biblioteca. Lì il cortile è un po’ più fresco e posso pensare a Camille senza andare a fuoco.
– Vai, io preferisco restare a casa, cuffie nelle orecchie, musica soft e un po’ di riposo.
– Riesci a sentire classica e a riposarti, nonostante il frastuono dei lavori e dei martelli pneumatici?
– Sì, ho scoperto come fare. Basta non pensarci!
– Beato te, quando cominciano a lavorare ho il desiderio di evaporare velocemente come tutto ciò che incontra la violenza dei raggi solari di queste giornate torride. Ecco cominciano… mi dò una sciacquata e parto.
I due si separarono: Matteo si ritirò nella privacy del suo loculo personale 4 per 4, Marco si gettò sotto la doccia in cerca di ristoro, si lavò i denti e si preparò per andare in biblioteca. Aveva uno strano sentore. Aveva sentito parlare lungamente di quella zona di Casale dai suoi genitori, una zona che negli anni ’60 si sarebbe potuta definire un po’ hot, con tanto di prostituzione e spaccio di droga nelle vicinanze. Dalla finestra della sua stanza, la vista dava su un edificio storico, che venne a sapere, ma solo dopo la sua visita in biblioteca, fosse l’ex convento di San Bartolomeo e San Marco, divenuto a sua volta una caserma militare. “Strano per questa città, di caserme ce ne sono sempre state poche” pensò tra sé e sé.
Forse era ciò a spingere Marco in biblioteca: cercare informazioni circa la zona in cui si era trovato a vivere con Matteo. Decise di percorrere la strada più lunga, passando per via Paleologi e per i quartieri più antichi della città. Sono zone, queste, che hanno sempre affascinato la curiosità noir di Marco: molti sono i racconti degli emarginati che abitano queste vie, più oscure delle altre, dove dai lucernari delle cantine, che costeggiano e perforano i marciapiedi, usciva – ed esce a tutt’oggi – quell’odore acre di umidità, di stantio, di mistero. Giunto sui sanpietrini di via Lanza, i profumi cambiano, acquisiscono la fragranza di burro e di forni, quelli del laboratorio storico dei krumiri della città. Poi, superato un arco, nella via centrale, sotto la statua equestre di Carlo Alberto, tutta un’umanità variopinta: bambini che giocano a pallone, badanti extracomunitarie che Marco guardava sempre in modalità cacciatore, in cerca di una futura sposa o di essere protagonista di un reality show, che so “Il prof. cerca moglie!” o cazzate consimili. Ancora qualche metro a piedi, poi svoltò a sinistra e poi ancora a sinistra, varcando il portone sacro della biblioteca casalese. Ad attenderlo una frescura di cui si beò sin da subito e per qualche minuto, godendosene la bellezza. Poi le lunghe e ripide scale, posò lo zaino negli armadietti collocati nella hall e si tuffò nelle sue ricerche.
Cominciò con l’archivio cartaceo. “Dunque, cazzo cerco? Piazza Baronino… Piazza Baronino, ecco trovato qualcosa. Un libro di Pansa Sangue, sesso, soldi[i]. Accidenti! Lo dicevo che quel posto è affascinante! Vediamo cosa dice questo testo…”. Marco venne a sapere che, secondo l’autore, a seguito della chiusura dei bordelli e in concomitanza della promulgazione della legge Merlin, le prostitute giovani seguirono i signori con cui erano solite intrattenere rapporti commerciali, mentre le meno giovani si radunarono in quel luogo. Pansa insiste su come questa caserma sabauda in disuso fosse diventata una sorta di luogo di abusivismo, abitata da squatter ante litteram o semplicemente da morti di fame. Il quartiere era reso meno triste proprio dalla presenza di queste signore, che, sempre secondo l’autore, si mostravano meno belle delle giovani, ma trasudavano esperienza ed esotismo. Molte sono le leggende circa queste imprenditrici, che vengono riportate dallo scrittore.
“Bene, sono andato a vivere nella Pigalle degli anni ’50 e ora non c’è più una mazza di niente!” pensò Marco tra sé e sé, producendo una smorfia di tristezza.
Andò avanti a cercare notizie a riguardo della zona anche sul Casalese, il giornale locale che veniva conservato come una reliquia nell’emeroteca civica. Niente di significativo: un articolo di qualche anno prima in cui si diceva che, proprio all’interno dell’ex-convento, ex-caserma ed ex-bordello a cielo aperto, stava crescendo una foresta kipliniana – chissà dove cavolo era Mowgli -, con tanto di rammarico dei cittadini residenti nei pressi, a causa della fauna locale quali ratti, pipistrelli e altri animaletti simpatici. Certamente prima, negli anni ’50, non ci si lamentava dell’altra fauna locale, tutta tacchi a spillo e calze a rete. Come cambiano i tempi… in peggio. Cercò ancora qualcosa sul web, ma senza successo: il Sindaco della città dice…, ordina…, decreta… tutti atti amministrativi quindi, che scadevano nel burocratese amatissimo da Matteo.
La bibliotecaria, con tono pacato e modi affettati, cominciò ad avvertire gli avventori che da lì a breve avrebbe chiuso e li invitò a lasciare i libri in consultazione nella sala lettura per poterli rimettere a posto. Marco si accorse che si era fatto tardi, lasciò la postazione internet e tornò a casa.
Matteo intanto si era addormentato, ma era stato risvegliato a causa della chiamata di Camille, la quale lo avvisava che, dal giorno seguente, la tromba dell’ascensore sarebbe stata attenzionata. Sarebbero cominciati quindi i restauri interni, per rendere più funzionale, secondo le nuove normative, anche l’ascensore. Pensò alla fatica che significava per lui salire ben quattro piani di scale con quella calura. Poco dopo si alzò, pervaso da una strana sensazione, una sottile ansia che connotava il suo animo dalla notte precedente. Verso le 3 aveva sentito risuonare il canto macabro di pascoliana memoria di una civetta. Non capiva da dove giungesse, ma sapeva che l’animale era lì vicino. Il canto della civetta, nella cultura monferrina, quello lugubre e monocorde, preannuncerebbe un evento macabro o una sciagura grave.
Mentre si lasciava andare a questi pensieri, rientrò Marco che gli raccontò i risultati della sua ricerca, sottolineando parole chiave come: alcolisti, puttane, foresta, sindaco… Matteo raccoglieva informazioni, selezionandole e dando spazio solo a quelle che gli interessavano e che, in qualche modo, avvalorassero questo suo disagio. Poi guardò Marco e gli disse:
– Ieri ho sentito il canto della civetta. Sai cosa significava vero?
– Sì, ma sono tutte stronzate… Sarà nella foresta, al posto di Mowgli… quella delle prostitute.
– Non so – lo interruppe Matteo – prima quel suono e ora, dopo quello che mi hai raccontato, mi sento come teso, angosciato. Saranno la suggestione e la stanchezza.
– Con questo caldo… A proposito, ho ricevuto un messaggio di Camille che mi avvertiva di non prendere l’ascensore perché sarebbero cominciati i lavori interni. È vero?
– Sì, mi ha chiamato e avvisato dell’evenienza. Comunque c’è qualcosa di strano qui, qualcosa di sinistro…
E pronunciando quelle parole, si allontanò per farsi una doccia. Quella notte Marco si accese una sigaretta, si affacciò alla finestra[ii] “sulla foresta” come in un film di Hitchcock, sentì anche il canto della civetta. Dopo averla terminata, la spense, abbassò la tapparella avendo cura di lasciare, tra una doga e l’altra, uno spazio sufficiente affinché l’aria notturna, certamente meno rovente, potesse circolare nella stanza, portando con sé un dolce ristoro, si mise sul letto e cominciò a pensare alle parole di Matteo… “che abbia ragione” pensò fra sé e sé. Non sembrava più grosso e caldo, l’appartamento. Quei pensieri glielo rendevano freddo e misterioso, con lo stesso odore occulto delle cantine di via Paleologi.
[i] Pansa, Gian Paolo, Sangue, sesso, soldi, Milano, BUR, 2015.
[ii] Hitchcock, Alfred, Rear Window, USA, Patron – Paramount Pictures, 1954.