Il buio di una mezza – Sabato 13 ottobre
Ecco il secondo capitolo del romanzo Il buio di una mezza di Maurizio Traverso!
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Sabato 13 ottobre
I riflessi dei raggi del sole mattutino, che ha da poco portato il suo splendore in quest’angolo di mondo, spennellano la campagna di tinte pastello che forse neppure la mano esperta di un pittore riuscirebbe a creare. Il cielo terso, di un azzurro intenso, nel quale stormi di uccelli si lasciano andare a invidiabili evoluzioni, in contrasto col marroncino delle foglie secche ormai miseramente cadute ai piedi degli alberi, è un effetto cromatico da cartolina. All’orizzonte un cumulo di bianca panna montata promette pioggia, ma le previsioni per la mattinata di domani non preoccupano i partecipanti perché per un podista serio l’unico tempo da considerare è quello del cronometro! Il rumore lontano di un trattore che viaggia in un campo trainando l’aratro è la colonna sonora ufficiale di questo cortometraggio i cui protagonisti stanno interpretando alla lettera il loro copione, una scenografia che ognuno ha creato ad arte per sé e per gli altri, e che, forse per la millesima volta, anche oggi viene ripetuta. Tre amici, tre buontemponi, tre podisti, stanno correndo in questo contesto che conoscono a memoria, ma che ogni volta risveglia il buonumore nell’animo e allevia la fatica. Un allenamento leggero, molto blando, in vista della gara di domani.
‒ Silvio, l’hai portata la carta igienica stavolta? ‒ chiede Giorgio all’amico, famoso per le sue sedute temporanee durante gli allenamenti, ma non sempre provvisto della materia prima.
‒ Sì, oggi sì. Non so come ho fatto mercoledì ad arrivare a casa. Sono entrato dentro di corsa, senza togliermi le scarpe e sono corso dove dovevo. Mia moglie aveva appena lavato il pavimento ed era ancora umido, ho lasciato una scia di fanghiglia e frammenti di foglie secche… Ha aperto un’agenzia di viaggi e mi ha mandato in tanti bei posti!
Non propriamente un fisico atletico quello del cinquantatreenne Silvio Varesi, piuttosto tozzo e con gli addominali provvisti di tartaruga al contrario, ma di certo non pantofolaio. Chi decide di correre in sua compagnia sa perfettamente di doversi adeguare al suo passo, non certo da lepre, ma neppure da bradipo. Poi si corre insieme per divertirsi, mica per preparare una finale olimpica! Un tipo simpatico e alla mano Silvio, pronto alla battuta di spirito, alla presa in giro bonaria e all’autoironia, quindi per questo benvoluto da tutti nell’ambito dell’Atletica, a cui è iscritto da oltre quindici anni. Professione impiegato di banca, un mestiere che svolge da sempre e che da sempre odia per la costrizione alla staticità. Ecco il motivo della sua passione per il podismo, che regala benessere al corpo e alla mente.
‒ Era meglio se te la facevi addosso‒risponde l’amico Giorgio Inquartana, di un anno più giovane. Fisico più consono all’ambiente sportivo, piuttosto alto e longilineo, ma nonostante madre natura lo abbia dotato di lunghe leve, il suo passo lascia parecchio a desiderare, ed è superiore a quello del rotondetto Silvio soltanto di qualche secondo a chilometro. Anche per lui, però, vige la sacrosanta legge del “chissenefrega, mi diverto e basta” e questo è il comune denominatore che caratterizza le innumerevoli gare a cui partecipa.
Stamattina i due amici corrono in compagnia di un neo iscritto, un “novizio” come lo chiamano loro, Alberto Mirri, per la verità “neo” in molti ambiti oltre che come podista: neo pensionato, dopo una vita trascorsa nella locale azienda cartotecnica; neo nonno, grazie alla nascita del primo nipote, di cui parla spesso e volentieri; neo separato, capita a ogni età, e per questo sempre in cerca di nuovi stimoli. Il rischio di cadere nella trappola della sedentarietà post congedo lavorativo è un’idea che Alberto ha sempre bellamente scartato, scongiurandolo con l’acquisto di un paio di Mizuno colore blu acceso, e altri accessori sportivi. Una folta chioma di capelli che svolazzano durante la corsa è il suo marchio: è impossibile non distinguere la sua figura anche da notevole distanza.
Per Silvio e Giorgio la partecipazione alla Mezza del Bandito è una specie di rito magico che soltanto un evento catastrofico potrebbe rovinare, mentre per Alberto è una nuova esperienza da vivere e la sgambatura mattutina serve a prepararsi più spiritualmente che fisicamente.
‒ Riuscirai ad arrivare in fondo Alberto? Mi spiacerebbe vedere il tuo faccione immortalato su un A3 col bordo nero ‒ dice scherzosamente Silvio al novizio.
‒ Se ti mandassi a cagare sarei troppo cattivo nei tuoi confronti, visti i precedenti – risponde Alberto. – Sono otto mesi che corro ed è la prima mezza, ma ho già provato a fare 21 chilometri, e sono arrivato in fondo.
‒ In quanti giorni? ‒ ribatte Silvio, e una risata generale fende il silenzio della campagna circostante.
‒ Lo scorso anno io e questo fenomeno – interviene Giorgio riferendosi a Silvio. – Siamo riusciti a chiudere sotto le due ore, un’ora e cinquantasette minuti, un tempo da tartarughe artritiche. All’arrivo c’era addirittura qualcuno che ci ha applaudito… Che coraggio!
‒ Come che coraggio – ribatte Silvio. – Non è già un buon risultato arrivare in fondo? Ohu, sono 21 chilometri, anzi di più!
‒ Io sinceramente del tempo me ne strafrego – dice Alberto. – È la prima gara lunga e l’importante è… Guardate che meraviglia!
Un branco di cinque caprioli attraversa la strada a circa 50 metri davanti a loro, in un elegante e velocissimo galoppo. L’immenso campo che li accoglie si trasforma in una stupenda scenografia da documentario vivente e i tre podisti di certo pensano all’unisono che queste visioni riconciliano con la vita!
‒ Ieri sera mi ha telefonato Spigo – dice Silvio. – Era in trattoria da Celso. L’ho sentito un po’ frastornato. Mi ha detto che nella cassetta della posta in sede hanno trovato un biglietto firmato da un certo “quasi Leo”, su cui è scritto che qualcuno morirà nei primi cento. Che scherzo può essere e cosa vuol dire “quasi Leo”?
‒ Io non ho problemi ‒ interviene Alberto. – Mi accontenterei di arrivare nei primi cinquecento! Quasi Leo… Boh, sarà un fuori di testa!
‒ Anche noi possiamo dormire sonni tranquilli, eh Silvio? – ironizza Giorgio. – Saremo in cinquecento trentasette: mi basterebbe piazzarmi nel secolo del Machiavelli, il ‘400!
‒ Voi ridete, ma secondo me la cosa potrebbe essere più seria di quanto non si pensi – dice preoccupato Silvio. ‒ I pazzi esistono!
‒ Dai, non mi dire che puoi credere all’idea che una specie di Rambo si piazzi sul tetto di un palazzo e spari sulla folla! Secondo te avviserebbe? ‒ ribatte ironicamente Alberto.
Tendenzialmente (è patrimonio del DNA mondiale) si pensa che certi clamorosi eventi debbano avvenire lontano da noi, che facciano parte della trama di un romanzo del quale non siamo e non saremo mai protagonisti. Forse una sottospecie di autodifesa, o forse uno stato di perniciosa incoscienza, come quella che porta il bambino a ingoiare una manciata di detersivo incautamente lasciato alla sua portata. Quando la tragicità di un evento, pur senza coinvolgerci in prima persona, ci passa talmente vicino da percepirne le vibrazioni ci coglie impreparati, ma contemporaneamente crea anche uno stato di eccitazione interiore per cui ognuno ha qualcosa da dire a riguardo, un dettaglio personale che in qualche maniera lo leghi all’evento stesso, perché la mania di protagonismo, in una scala variabile da dieci a cento fa parte dei connotati, come il colore degli occhi o la statura!
La corsa continua tra strade bianche e asfalto poco trafficato. All’imbocco di un boschetto, meravigliosamente dipinto con i colori d’autunno, una vecchia lavatrice gettata a lato del sentiero stride in quel contesto come una frase gentile in un discorso di Vittorio Sgarbi e naturalmente i commenti dei tre si sprecano. Di certo l’operazione è stata compiuta da due persone, in perfetta sintonia con il numero standard dei coglioni, e tutti concordano sul fatto di sperare che almeno, prima di toccare terra, il pesante elettrodomestico abbia intercettato i piedi di entrambi gli imbecilli, tranciandoli di netto! La temperatura intorno ai diciotto gradi è ideale, ma dopo la notizia di questo misterioso annuncio non è più ideale l’umore dei tre. Convincersi che la gara di domani possa mettere in pericolo chicchessia non può certo diventare un pensiero fisso, ma resta comunque un’inquietante spada di Damocle che soltanto un post gara tranquillo e festoso potrà scongiurare.
Giunti in prossimità di un bivio nei pressi della locale autostrada, Giorgio saluta i compagni deviando verso sinistra per tornare a casa. Il passo lento e cadenzato, lo sguardo fisso verso un punto lontano, un sorriso beffardo che increspa la bocca. Non sapete cosa succederà domani ragazzi.
Silvio e Alberto continuano il loro allenamento blando e sereno. Dovranno ancora percorrere circa un paio di chilometri per arrivare alle loro case, molto vicine l’una all’altra. L’argomento di conversazione verte intorno all’avviso minatorio e le parole di Silvio sembrano pesare come macigni:
‒ Conosci Vittorio? Vittorio Ramoni, quel ragazzo di trentasei anni arrivato qui qualche anno fa dalla Toscana, che andava fortissimo, ma che ultimamente ha perso un po’ il ritmo – chiede Giorgio.
‒ Sì, lo conosco. Abbiamo fatto un paio di volte il viaggio insieme per andare a correre fuori. Un tipo simpatico e gentile. Perché me lo chiedi? ‒ risponde Alberto, corrugando la fronte come si fa quando ci si aspetta una qualche esplosiva novità, o meglio, la conferma di una notizia bomba che da tempo circola nell’ambiente.
‒ Ti dico una cosa, ma mi raccomando, mutismo!
Intuizione confermata. Ecco la peggior forma di ipocrisia: chiedere di tenere la bocca chiusa su un argomento mentre si sta facendo esattamente l’opposto.
‒ Certo, per quanto mi riguarda non lo saprà nessuno.
‒ Circola voce che abbia degli incontri ravvicinati con la moglie di Giorgio. Qualcuno li ha visti insieme in atteggiamenti non proprio da conoscenti. Penso che Giorgio sospetti qualcosa, anche se non mi ha mai detto niente, ma non avendo certezze dovrebbe parlare con la moglie e chiedere spiegazioni. È una brutta situazione, mi dispiace anche se Giorgio non è mai stato uno stinco di Santo.
‒ Ah… Allora è vero!! Sono da poco nell’ambiente, ma avevo già sentito strane voci. Mi dispiace, ma di certo dovranno vedersela tra loro. Però sì, brutta situazione! Poi lei ha anche parecchi anni di più di Vittorio.
‒ Non vorrei che quel biglietto fosse per Vittorio, ma in questo caso sarebbe stato soltanto Giorgio a scriverlo e non mi pareva avesse l’animo particolarmente turbato, ti sembra?
‒ Ma chi? Giorgio? Tu lo vedi a meditare di fare fuori qualcuno?
‒ Certo che no. Vabbè dai, siamo arrivati. Ciao Alberto, ti ho fatto una confidenza, quindi per favore… Sst!
‒ Ma sì, mi sono già dimenticato. Ciao Silvio.
***
Il giorno che precede una gara importante è per i podisti un giorno normale, certo, sempre di sport si tratta, ma un innegabile senso di euforia, mista inevitabilmente a un leggero stato d’ansia, accompagna le ore. Per le vie del centro, nei negozi, nei centri commerciali, è solito incontrare gruppi di “runners” (perché la contaminazione inglese non poteva certo risparmiare l’ambiente), podisti con le mogli, podiste con i mariti, podisti senza mogli, podiste senza mariti, podisti e podiste single, podisti e podiste separati che vivono con una leggera ansia la vigilia della gara.
Inevitabilmente il filo conduttore di tutti i discorsi non può che essere l’imminente gara, ma un senso di pudore generale fa sì che nessuno inizi un discorso trattando l’argomento ‒ mica abbiamo la mente a compartimenti stagni ‒ quindi si inizia disquisendo sul rincaro della benzina per passare poi all’ultima manovra del governo, il tutto nell’arco di novanta secondi, perché in maniera inevitabile a qualcuno viene in mente di commentare la massa di persone che c’è per le strade e come tutte vadano di corsa… Ecco la parola magica. L’interlocutore, che non aspetta altro, interviene col classico “A proposito di corsa…”, intanto pensa Non sono io ad averla nominata per primo. Da qui in poi partono i commenti e i pronostici, fino ad arrivare al fatidico:
‒ Io domani non ho nessuna velleità, vada come vada.
Stronzata monumentale! Non è vero e chi lo dice lo sa benissimo! Se si potesse leggere nel meandro di materia grigia entro cui è stata partorita la frase “Vada come vada”, si scoprirebbe che il testo originale era: Vorrei arrivare sul podio, anzi vincere la categoria, ma ho una paura terribile di fallire. Non posso mica dire che da un paio di settimane ho un dolore alla caviglia destra, tutti penserebbero che il mio fisico non è più quello di una volta perciò è meglio mettere le mani avanti e crearmi un alibi.
È impressionante come la mente umana riesca a sintetizzare e modificare radicalmente un pensiero, nel milionesimo di nanosecondo che intercorre tra la sua formazione e la sua enunciazione!
‒ Io domani non ho nessuna velleità, vada come vada – sta mentendo Adriana all’amica Livia, tra gli scaffali di un supermercato.
Adriana Miriani, iscritta da parecchi anni alla società, è una bella donna, da sempre sportiva. Un metro e settantacinque, fisico ben modellato nonostante l’anagrafe dichiari oltre cinquant’anni, capelli neri corvini molto corti che esaltano il perfetto ovale del viso e rendono ancor più brillanti due occhi verde smeraldo perennemente sorridenti. Salutista convinta, segue alla lettera le indicazioni del suo coach (perché la contaminazione inglese non poteva certo risparmiare l’ambiente), e riempie il carrello di prodotti bio, light, surgarfree (dire leggeri e senza zucchero non fa chic), senza lattosio, senza grassi aggiunti, senza glutine, senza olio di palma. Ma cosa mangia ‘sta donna?
‒ Quest’anno è la dodicesima mezza che corro e ho speso molte energie. Poi ultimamente non ho potuto allenarmi come avrei voluto (se l’amica Livia pensasse Ma a me chemmefrega, te l’ho forse chiesto?, sinceramente non avrebbe torto). E tu? Ti vedo in forma!
‒ Ma sì, sta girando bene, a parte qualche fitta al ginocchio sinistro. Sarà dovuta al sovraccarico (N.P.R.M.P non personalmente riportato ma pensato: Se domani chiudo la gara con un tempo superiore alle mie possibilità, la colpa ricadrà sul mio ginocchio, anche se in effetti è a tratti dolorante, ma con la frequenza di un’eclissi di luna completa).
Non proprio il massimo della simpatia Livia Torresi, il classico tipo che sta sulle sue e che inevitabilmente dopo un po’ sta anche su quelle degli altri, per i suoi modi scostanti e presuntuosi. Quarantotto anni, non molto alta ma dalle forme pressoché perfette, viso serio e quasi costantemente corrucciato, caschetto rossiccio naturale. Una vita spesa tra studi universitari mai ultimati, vacanze solitarie in luoghi esotici, un lavoro presso uno studio notarile e tanto sport. Nuoto in gioventù, poi mountain bike e da circa sei anni podismo. Buoni i suoi risultati, una che di certo dice la sua in ogni gara e non si è mai capito se faccia spesso parlare di sé per i risultati sportivi o per la sua antipatia. Tra lei e Adriana l’amicizia è storica, ex vicine di casa da ragazzine, pur con qualche anno di differenza, quindi nei suoi confronti Livia tiene in disparte la sua scontrosità.
Quanto avevi ragione carissimo Fabrizio De André quando nella tua “Bocca di rosa” scrivevi “Una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale, come una freccia dall’arco scocca, vola veloce di bocca in bocca…”
‒ Ho sentito girare una strana voce – dice Livia. – Pare sia arrivato in sede un avviso anonimo minat…
‒ Non so, non ho sentito niente… Come minatorio? ‒ la risposta di Adriana è talmente fulminea che sembra tradire il contrario. Fingere di non conoscere un argomento per saperne di più è una specie di sport nazionale.
‒ Ieri sera nella cassetta della posta in sede c’era una busta con un biglietto: qualcuno morirà.
‒ Ma dai, chi può scrivere una cosa del genere? Sarà certamente uno scherzo… Di cattivo gusto, ma uno scherzo.
‒ Boh, comunque molto implicito.
Le due amiche si lasciano e ognuna va per la sua strada, ma i loro pensieri viaggiano all’unisono.
(Mah, stai a vedere che… Ma no, non può essere… Possibile che quello che ho sentito, “L’ammazzo quel bastardo”, fosse una minaccia vera: vorrà mica fare sul serio. No dai, cosa vado a pensare.)
(Mi ha risposto un po’ troppo alla svelta, non avevo nemmeno finito la frase. Livia non è mica stupida, cara Adriana… Eri già al corrente di questa storia. Poi comunque se qualcuno che dico io schiattasse non mi dispiacerebbe proprio!)
***
‒ Ciao papà, domani è il grande giorno. Lo farò per te, la categoria sarà mia!
Il silenzio di un cimitero fa un rumore assordante quando il dolore per una perdita importante morde dentro come una bestia feroce, e capita di ritrovarsi a parlare ad alta voce mentre si accarezza la fotografia sulla fredda lapide di marmo.
Sono le cinque e un quarto di sabato pomeriggio, quasi orario di chiusura, e il cimitero è praticamente deserto, una condizione ideale per consumare l’intima emozione che esplode dentro. Il mazzo di fiori freschi sistemato al centro del terreno di fronte alla lapide, qualche piccolo ciuffo di erba selvatica da sradicare, un cero a batteria ormai spento da gettare via e un fiume di parole che sgorga dalle labbra.
‒ Ti ricordi quando da piccolo mi portavi a correre con te e mi dicevi che solo faticando si raccolgono soddisfazioni nella vita? Avevi ragione papà, sono soddisfatto della mia vita, ma ho dovuto faticare, solo io e te sappiamo quanto, vero? Il lavoro va bene, ho tanti amici, e la corsa, quella che tu amavi tanto, mi vede spesso protagonista, papà. Vorrei rivederti a ogni traguardo come ti ho visto tante volte, a complimentarti quando andava bene e a incoraggiarmi quando non andava proprio come avrei voluto… Scusa, come avremmo voluto. Poi te ne sei andato, anzi, ti hanno portato via. Sono trascorsi anni, papà, ma mi sembra ieri. Quei bastardi la pagheranno te lo giuro. Il tuo leprotto nano gliela farà pagare, vedrai papà!