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«Trovo il mio posto nel mondo quando…» F. Asborno

È in arrivo un nuovo libro: una nuova raccolta di racconti sta per aggiungersi alla nostra collana Narrativa. Una novità che porteremo al Salone del Libro di Torino (padiglione 2, stand H05-G06), 150 pagine che non vediamo l’ora di presentarvi.

Dieci storie che emozionano, dieci narrazioni sospese, che agguantano brandelli di vicende più ampie e le consegnano al lettore insieme ai diversi protagonisti e comprimari, attraverso una scrittura che con semplicità arriva al cuore delle cose.

Prima di svelarvi altri dettagli, nonché il titolo del libro, introduciamo l’autore, Federico Asborno, giovane insegnante e scrittore in crescita, con uno stile ben riconoscibile. Ve lo facciamo conoscere attraverso le sue risposte alle cinque domande sul futuro e sulla contemporaneità ideate dal Salone. Anche la fotografia scelta da Federico, che rappresenta la sua idea di futuro, dice parecchio di lui.

  1. Chi voglio essere? 

È tutta la vita che racconto a me stesso e agli altri di voler diventare uno scrittore, solo uno scrittore, nient’altro che uno scrittore, ma in realtà non so se le cose stiano realmente così. So che per il momento riesco a trovare il mio posto nel mondo solo quando porto avanti un progetto e vedo in una risma di carta bianca un’infinita serie di possibilità. In generale il momento in cui mi sento più felice è quando gli altri trovano loro stessi dentro le mie parole, quando capisco che ci siamo trovati a metà del ponte che è ogni frase.

Non credo che ci troviamo nell’epoca del culto di sé: quello che ci ritroviamo oggi sotto il naso non è che la versione grottesca, farlocca e villana di movimenti come l’Estetismo di Wilde, il superomismo dannunziano e i vari culti della personalità che hanno attraversato (sempre con esiti disastrosi) la modernità, quasi sempre in concomitanza con una crisi. L’asimmetria tra chi siamo e vorremmo essere provoca alienazione anche per via dello stato di cose brillantemente descritto da Bauman, ovvero un’insieme informe di persone alla ricerca di se stesse in una società liquida, in cui nessuno ha una posizione prestabilita, ma deve sgomitare per stare a galla. Oggi gli strumenti per decidere chi si vuole diventare sono (anche) i social, attraverso i quali cerchiamo (crediamo) di conoscere gli altri e dare agli altri un’immagine di noi stessi. Questo rapporto sarà sempre parziale, esattamente come quelli che si instaurano dal vivo, ma è ulteriormente viziato dal fatto che sui social si cercano di veicolare solo determinati aspetti di se stessi (in generale il successo, anche quando questo non è autentico), costruendo e inseguendo falsi modelli di cui gli altri sembrano sempre i detentori a nostro sfavore.

  1. Perché mi serve un nemico? 

I nemici servono unicamente a coloro che non sono così sicuri della propria identità, servono per poter tratteggiare i confini del proprio Io in ottica oppositiva: tu sei sbagliato in questo, questo e questo, mentre io sono il contrario, quindi sono ciò che tu dovresti essere. C’è sempre un’ottica moralistica nel trovare nemici a prescindere, operazione che – tra l’altro – quasi sempre sfrutta l’arma del pregiudizio per evitare di condurre serie analisi sull’altro. Si preferisce non guardare per poter continuare a credere alle favole che ci si racconta. I confini, invece, hanno un senso quando si basano su un mutuo riconoscimento, sono un’arma, invece, quando vengono sfruttati dai più forti per tenere al loro posto i più deboli.

  1. A chi appartiene il mondo? 

Il mondo appartiene a chi lo abita, come sempre, il fatto è che mai come oggi si è sentito il bisogno di una classe dirigente attenta ai problemi dei cittadini e dell’ambiente.  Il crollo delle ideologie, di un sistema sociale di riferimento, la fine di una realtà politica consolidata per almeno un secolo, il venir meno di determinati valori costituitivi di una società ormai percepita come antiquata, tutti questi elementi contribuiscono ad acuire il sentore di solitudine e abbandono a se stessi. Il cittadino medio si sente snobbato dalle elite e questo – unito a un sempre più veloce accesso a informazioni e qualsiasi altro tipo di servizio grazie dal Web – provoca sfiducia nelle istituzioni, nella figura dell’esperto, di un qualsiasi punto di riferimento. Ognuno può essere un self-made man semplicemente grazie a un accesso a Internet, non esistono più le autorità in materia, la scuola viene svalutata, gli insegnanti lasciati soli a vedersela con studenti irrispettosi, legacci burocratici che gli immobilizzano le mani, a barcamenarsi tra problemi di ogni tipo e genitori purtroppo figli del loro tempo, che non hanno tempo, che vedono l’insegnante come un loro dipendente retribuito per una prestazione coi soldi delle loro tasse. Suonerebbe banale dire che tutti devono occuparsi del mondo, ma d’altro canto sarebbe utopico pensare che qualcuno ci penserà al posto nostro.

  1. Dove mi portano spiritualità e scienza? 

Personalmente credo che il cambiamento (inteso in senso positivo) non possa venire né dal progresso scientifico né dal rispetto di verità rivelate. Il cambiamento, credo, viene dalla congiuntura di una serie di condizioni, in primis – ahinoi – quella economica, ma anche da una diversa concezione di cultura. Solo smettendo di cercare un’utilità pragmatica nella cultura se ne potranno cogliere i benefici.

  1. Che cosa voglio dall’arte: libertà o rivoluzione? 

L’arte è la strada che gli uomini intraprendono quando sentono il bisogno di raccontare se stessi e il mondo nel modo più personale possibile. Non credo che l’opera artistica debba cercare di cambiare le cose a tutti i costi, può capitare che lo faccia, può capitare che l’artista voglia sortire un determinato effetto nel suo pubblico, ma l’arte deve per forza bastare a se stessa.

P.S. La raccolta si intitolerà Le ragazze amano le preposizioni semplici: vi aspettiamo domenica 13 maggio al Salone di Torino per parlarne insieme all’autore!