Il buio di una mezza – Venerdì 12 ottobre
Ecco il primo capitolo del romanzo Il buio di una mezza di Maurizio Traverso!
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Venerdì 12 ottobre
Siamo esseri umani e in quanto tali spesso catapultati verso stati d’animo tendenti a ogni livello, condizioni che possono svariare tra il felice per un appuntamento amoroso, all’incazzato come un bufalo con la gastrite perché la macchina ci ha lasciato a piedi, passando attraverso strane forme di ilarità perversa per la sconfitta della squadra che odiamo, o a stati di masochismo di massa mentre ci spezziamo i muscoli sollevando un bilanciere in palestra.
Alla sede dell’“Atletica Novese”, antica società dilettantistica di Novi Ligure che vanta il maggior numero di iscritti tra le compagini provinciali, l’unico sentimento che si respira durante il periodo organizzativo della gara dell’anno è l’euforia mista a preoccupazione, una solare tensione che vibra di pari passo con la speranza che tutto funzioni! Uno staff composto da persone serie, preparate, appassionate… Primo fra tutti Ivano Radaelli, per tutti “Spigo”, abbreviazione di spigolo non certo per il carattere tutt’altro che scontroso, ma affabile e simpatico, quanto per la conformazione del viso che ricorda un insieme di proiezioni ortogonali e linee intersecanti tra loro. Una sicurezza per tutti questo sessantacinquenne ex ferroviere, nonché ex volontario della Croce Rossa, nonché ex sciupafemmine, attività accantonata per sopraggiunti limiti di età, nonché podista, ma senza ex, perché Spigo dice ancora la sua in ogni competizione ed è veramente difficile non vederlo salire sul podio di categoria a fine gara. La corsa che l’Atletica sta organizzando è la “Mezza del Bandito”, gara giunta ormai alla trentaquattresima edizione: 21 chilometri da correre perlopiù sulle strade battute da un famoso brigante nativo del posto, poi redento e dedito alla filantropia nella parte finale della vita, che a cavallo tra gli anni ‘30 e ‘40 del ‘900 aveva seminato terrore con i suoi crimini, anche cruenti. Un percorso periferico e campagnolo che regala bei panorami, ma difficilmente godibili da chi è impegnato a faticare sbuffando sulla spinta delle gambe. Trentaquattro edizioni della corsa tutte e trentaquattro (non è uno scioglilingua!) sotto l’appassionato patrocinio di Spigo. Ogni anno sempre più iscritti, con un target d’età più vario degli ingredienti dell’insalata di riso, dai giovanissimi agli over 80.
‒ Ehi Spigo, un’altra bolletta da pagare, sei contento?
Angelo Favola, un altro storico della società, ha appena fatto il suo ingresso in sede, tenendo in mano la posta appena prelevata dalla cassetta a fianco alla porta. Non un veterano DOC come Spigo, ma comunque un pezzo da novanta del gruppo sportivo per il suo impegno sia agonistico che pratico. Quando c’è da misurare un percorso con la rotella metrica nessuno è più preciso di Angelo, che conosce le strade della provincia in maniera più dettagliata di un Tuttocittà!
Cinquantotto anni, dei quali nove, tra i quattro e i tredici, trascorsi in Marocco a causa della lunga trasferta del padre, dipendente di un’importante impresa di costruzioni realizzatrice di dighe per centrali elettriche. Scuole primarie con insegnanti italiani, ma lingua araba perfettamente assimilata. Il resto della vita vissuto tra pesanti difficoltà sempre stupendamente superate, a iniziare dallo spettro di un male incurabile in gioventù per la presenza di strane macchie nella zona polmonare, diagnosticate in maniera frettolosa e incompetente, rivelatisi poi come nulla di irreparabile, ma guaribili con una cura cortisonica. Le circostanze non avevano minimamente scalfito lo spirito allegro ed esuberante di un Angelo venticinquenne, che prima della trentina aveva incontrato Margherita, la donna della sua vita con la quale si era sposato e aveva messo al mondo due splendide gemelle, Isabel, perché di comune accordo una figlia femmina deve avere quel nome, e Mandy, in onore a un bellissimo brano degli anni Settanta di Barry Manilow, il lento che avevano ascoltato più volte insieme e che li aveva fatti innamorare. Lo spettro del passato sembrava definitivamente sconfitto, ma evidentemente la buona stella di Angelo ogni tanto aveva deciso di prendere un periodo di vacanza. A soli trentasei anni, con due bambine in tenera età da crescere, Margherita, perdendo l’equilibrio sulle scale interne della sua casa, aveva battuto violentemente il capo ed era morta sul colpo. Il mondo di Angelo Favola, si era sgretolato come un castello di sabbia raggiunto dall’onda, ma anche quella volta il terribile destino che lo accompagna non era riuscito ad annientare lo spirito di questo combattente. Grazie all’aiuto dei genitori, Angelo, pur tra mille difficoltà, aveva cresciuto le sue figlie, e, cogliendo al volo l’attimo fuggente in cui il destino aveva vestito i panni di un amico, aveva incontrato un’altra donna, Deborah, che aveva accettato di fare da mamma alle bambine e si era trasferita a vivere con loro. Deborah era una brava e premurosa compagna e, pur non potendo certo sostituire nel cuore delle ragazze tutto ciò che una madre riesce a trasmettere, si era dimostrata all’altezza della situazione e il suo rapporto con Isabel e Mandy era sereno. Angelo, poi, era tornato ad affrontare in maniera tranquilla la vita, pensare al lavoro, e rilassarsi con le corse, perché giustamente si considerava in credito col destino.
‒ Questa è sicuramente la fattura della corrente elettrica. La prossima bolletta dell’acqua la paghi tu Angelo… Lo sai, no, che è a carico…
‒ Sì, lo so! La bolletta è a carico del comune, ma noi abbiamo il contatore autonomo e i conteggi vengono ripartiti… Quando vado sotto la doccia degli spogliatoi per una buona mezz’ora non mi si vede. Chissà che cazzo faccio là dentro. Punto! Quanti miliardi di volte mi hai fatto ascoltare questo ritornello Spigo… Che due maroni!
‒ Comunque la prossima la paghi tu, beduino!
‒ Non ti rispondo soltanto perché sei vecchio! Io vado a casa, ci vediamo domani Spigo.
‒ Sì, ciao, io mi fermo ancora un po’. Controllo per la quarta volta la corrispondenza del numero di pettorale con l’elenco dei partecipanti, ormai abbiamo chiuso le iscrizioni e dopodomani deve essere tutto perfetto!
La posta consegnata da Angelo, oltre alla bolletta della luce elettrica, contiene la pubblicità dell’imminente apertura di un locale pizza al taglio, che potrebbe magari interessare decine di podisti arrivati da fuori per partecipare alla gara, e una busta anonima, con l’aletta incollata e senza nessun mittente. Spigo pensa giustamente che la cosa risulti alquanto strana, in quanto chi avesse dovuto consegnare personalmente una busta in sede, avrebbe potuto farlo tranquillamente entrando all’interno, perché la cassetta postale è esattamente fuori dalla porta!
Usando il pollice come coltello, Spigo apre la busta e ne osserva il contenuto: un semplice foglio ripiegato in quattro, completamente bianco sulla parte esterna. Spiegando il foglio Spigo ne svela il testo. Poche parole scritte in maiuscolo e in grassetto, pesanti come macigni: “Qualcuno morirà nei primi cento!”
In bilico tra il divertito e lo sconcertato, Spigo pensa allo scherzo di cattivo gusto di qualche autoproclamatosi buontempone, e sta per accartocciare il foglio destinandolo ad altri lidi, onnipresenti al di sotto di tutte le scrivanie del pianeta, quando l’occhio gli cade sul fondo della pagina destro, dove è stampato qualcosa, decisamente in carattere molto ridotto e non in grassetto, che Spigo non riesce a decifrare. Apre il cassetto della scrivania e, tra appunti vecchi di mesi rimasti a naufragare nel dimenticatoio, una calcolatrice che di certo ha vissuto momenti migliori, ma che stranamente funziona ancora, un pacchetto di caramelle al miele di anonimo proprietario e timbri e blocchetti vari, trova una lente di ingrandimento che lo aiuta a decifrare il misterioso scarabocchio. Si tratta in realtà di due lettere scritte a mano: “Firmato E quasi Leo”. Ispirato da Vasco Rossi, che Spigo conosce e ammira, nonostante molti suoi coetanei non vadano oltre “Romagna Mia”, si chiede se tutto questo abbia un senso, ma decide comunque di non cestinare il foglio e di farlo vedere ai colleghi il giorno successivo.
È buio nella sera di ottobre che Spigo sta per affrontare uscendo dalla sede e, mentre sta girando la chiave per chiudere la porta, avverte dei passi dietro sé. Si volta di scatto e si ritrova la luce accecante di una pila che irradia completamente le sue pupille, e una mano che lo afferra per il braccio sinistro, facendolo trasalire.
***
Niente di meglio di una corsa solitaria tra gli odori e i rumori, peraltro velati, della campagna, quando la mente naviga in mari agitati e mixa i pensieri in un cocktail micidiale. I muri della stanza del bed and breakfast nel quale alloggerà per questi due giorni sembrano stringersi in una morsa che non lascia scampo e l’aria al suo interno è irrespirabile. La stessa sensazione che di certo si proverebbe dopo essere rimasti alcune ore chiusi all’interno di un ascensore bloccato all’ottavo piano, le cui pareti lasciano agli occhi la possibilità di calcolare a che altezza ci si è fermati. Una specie di incubo che trova via d’uscita soltanto infilando una maglietta termica, i calzoncini aderenti al ginocchio e le Ghost nuove di zecca, uscendo nel traffico cittadino, ma soltanto per poche centinaia di metri, prima di percorrere strade secondarie dove i raggi del sole di ottobre che sta tramontando filtrano tra i rami degli alberi formando un caleidoscopio di luci. Primo tratto 04:35 a chilometro, tanto per scaldare il fisico in vista dei restanti 9, anzi no, stasera 11 chilometri di allenamento. Domenica, dopodomani, è d’obbligo fare un figurone alla Mezza del Bandito, salire assolutamente sul podio di categoria, anzi, vincere la categoria a ogni costo! La spinta sulle gambe e il movimento armonico e sincronizzato delle braccia a formare un tutt’uno col respiro sempre più intenso e sempre più rabbioso: solo così il fisico si prepara, la mente riesce a razionalizzare la realtà e il cuore raggiunge un numero di battiti costante. 4:18 a chilometro… I pensieri completamente al di fuori della situazione, per non permettere alla fatica di materializzarsi. Chi lo fa pensando agli impegni del giorno dopo, chi cantando o contando mentalmente, chi alzando gli occhi al cielo nella speranza di notare un uccello che lo faccia meditare sui vantaggi di poter volare, chi immaginando quanto deve essere intenso e piacevole il sapore della vittoria in un giorno così importante. 04:02 a chilometro. Un leprotto nano attraversa la strada, mimetizzandosi tra l’erba alta sul ciglio del fosso. “Sai che siamo simili leprotto nano, sai che da piccolo mio padre mi chiamava così, sai che anch’io come te devo fare molta attenzione al mondo che mi circonda. Sai che anch’io posso rischiare di essere vittima degli eventi come te, ma io posso in qualche modo difendermi, almeno provarci e se non me lo permettono… Stavolta comando io. 03:48 a chilometro, la categoria nella Mezza del Bandito deve essere mia a ogni costo!”
***
‒Ma sei deficiente, mi hai fatto morire di paura…‒ dice Spigo rivolto al maresciallo Garrani, operativo nella locale stazione dei carabinieri, che lo sta guardando ridendo come un folle.
‒ Ma dai Spigo, che per spaventare te ci vuole ben altro!
‒ Prova tu a trovarti una torcia puntata in faccia e un braccio che ti agguanta. Ma come ti vengono in mente questi scherzi, ho una certa età io.
Nunzio Garrani, quarantadue anni, carabiniere integerrimo e fedele all’arma, molto forte fisicamente e determinato, da sempre raggiunge risultati ragguardevoli a livello sportivo: 1 ora e 18 minuti nella mezza maratona all’età di quarant’anni, oltre che un 33:18 sui 10.000 metri, più o meno nello stesso periodo, fanno di lui un sicuro elemento di spicco.
‒ Sono passato qui davanti, ho visto la luce accesa e pensavo di venire a fare due parole con te. Chi altro poteva esserci lì dentro a quest’ora? Poi ti ho visto uscire e non ho resistito alla tentazione di mettere alla prova il tuo cuore da atleta!
‒ Per poco non lo fai schiattare questo cuore, bestia che non sei altro. Senti un po’, visto che sei qui, vieni dentro un secondo, devo farti leggere una cosa.
Alla vista del foglio appena giunto in sede, Garrani, rientrando nei panni del serio tutore dell’ordine, non sottovaluta la questione.
‒ Chi può essere questo Leo? Non mi risulta tra i nostri iscritti. Hai notato qualche volto sconosciuto girovagare qui intorno, oggi, ieri, ultimamente?
‒ No, direi di no. Poi sai, io arrivo, entro e difficilmente metto il naso fuori finché non torno a casa. Chiederò agli altri, magari qualcuno ha notato qualcosa. Per me è qualche deficiente che vuole scherzare pesante.
‒ Tutto può essere Spigo, non drammatizziamo e non sottovalutiamo; il foglio se non ti spiace lo tengo io…
‒ No no, non mi spiace per niente, meglio sia in mano tua. Ma per caso dovremo preoccuparci per la corsa di domenica? Sai, pensandoci bene, le parole sono chiare.
‒ Farò quello che posso per rassicurarti, anche se naturalmente spero si tratti di uno stupido scherzo, comunque perseguibile. Vedremo.
‒ D’accordo generale… Ah no, per ora solo maresciallo!
I due si salutano amichevolmente all’uscita dalla sede e ognuno va per la sua strada. Garrani verso casa dove lo aspetta ardentemente suo figlio Tommaso, di cinque anni, memore della promessa paterna di un gioco serale che riguarda la realizzazione di un mostro le cui parti da assemblare costituivano l’inserto di un giornalino per bambini, e Spigo verso la trattoria in centro gestita dall’amico Celso. La vita da single richiede una certa manualità ai fornelli che Spigo possiede, ma capita che a volte la voglia di spadellare vada in standby come un pc, e ogni velleità culinaria si spenga clamorosamente per lasciare posto a una forma di pigrizia, che trova soluzione nel tavolo con vista sul marciapiede adiacente il locale, all’angolo di sinistra rispetto all’ingresso, dove Spigo si siede sempre quando pranza o cena in trattoria.
Sarà un caso, ma, senza che il “trattore” (il gestore della trattoria) tenga quel tavolo riservato, il che non sarebbe deontologicamente corretto, otto volte su dieci in cui Spigo entra nel locale quel tavolo è libero. Sarà forse per la vicinanza con la vetrata che dà sulla strada ridimensionando di molto la privacy (cosa che per Spigo conta tanto come un moscerino morto sul lunotto dell’auto); sarà forse perché un paio di metri più in là c’è la porta del bagno (ma in fondo, pensa Spigo, è soltanto “la porta” del bagno, non il bagno in sé); sarà forse una questione di fortuna e basta…
Entra all’interno e con un gesto automatico si sfrega vorticosamente le mani quasi volesse riscaldarle, seppur la temperatura sia ancora piuttosto mite, consapevole del fatto che si tratti di un personalissimo modo di dimostrare quanto si trovi a suo agio nella trattoria, praticamente come a casa. Si siede, sistemando il giubbotto sullo schienale della sedia, e ad alta voce pronuncia il fatidico “Celso, fai tu”, invitando l’amico gestore a servirgli la cena a suo piacimento. È rilassante rimanere seduti all’interno di un locale, e, con i gomiti appoggiati sul tavolo e i pollici che reggono il mento, osservare il frenetico viavai sulla strada. Sono le diciannove e quarantacinque, non il boom dell’ora di punta, ma i marciapiedi e le strade limitrofe risultano ancora piuttosto affollati: gente che sta portando fuori il cane (o viceversa); donne eleganti fasciate nei loro completi firmati, intente a osservare ogni vetrina, o forse intente a osservarsi in ogni vetrina; commercianti che dopo aver riempito l’aria con i decibel della loro serranda che si abbassa tornano a casa più o meno soddisfatti per l’incasso giornaliero; ragazzini scalmanati, a cui forse nessuno ha mai insegnato un briciolo di educazione, che dopo aver svuotato la lattina di Coca Cola ne cambiano destinazione d’uso trasformandola in un pallone da prendere a calci e abbandonare bellamente al centro della strada.
Una signora prosperosa e accattivante, con un paio di leggings e un lungo maglione rosa, attira la sua attenzione. Avrà più o meno la sua età e sta camminando a passo lento sul marciapiede con la fronte alta e lo sguardo fiero. Gli ricorda un periodo di circa trentacinque anni prima, stampato nel cuore e nella mente, un periodo di nome Viviana, anche lei prosperosa e accattivante.
Nello stesso quartiere dove lui abitava, lei gestiva una merceria molto ben avviata e inevitabilmente lui, seguendo il percorso abituale delle sue uscite, si trovava costretto a passare di fronte alla vetrina, e altrettanto inevitabilmente lo sguardo volgeva all’interno e molto spesso i loro occhi si incrociavano fugacemente. C’era qualcosa nell’aria, qualcosa che scalfiva l’anima dell’inossidabile scapolo Ivano Radaelli, una specie di ponte invisibile che univa i loro sguardi in maniera complice. Facendo leva sul suo spirito d’iniziativa diretto e senza fronzoli, una sera, senza neppure sapere se lei fosse libera o avesse un legame sentimentale, era entrato all’interno del negozio invitandola a bere qualcosa insieme. A dispetto della risposta che pensava di ricevere, lei aveva sfoderato un sorriso smagliante, e pronunciato un “Certo, mi farebbe piacere”, che lo aveva spiazzato al punto da lasciarlo senza parole per l’emozione.
Erano usciti la sera dopo, scoprendo di avere molte cose da condividere, e si erano rivisti nuovamente dopo qualche giorno organizzando una gita al mare. Lei indossava una gonna di jeans al ginocchio e una camicetta verde smeraldo. I lunghi capelli ricci di un biondo lucente contornavano l’ovale di un viso solare e sorridente e ai lobi delle orecchie un paio di vistosi orecchini a cerchio le davano un’aria sbarazzina e magnetica. Dal tavolo del ristorante dove si erano seduti si vedeva la distesa azzurra leggermente increspata e piena di sfumature. Viviana volgeva le spalle al mare e a Spigo, seduto di fronte a lei, pareva che il movimento delle onde sullo sfondo dei suoi capelli ne modificasse costantemente il colore. Chiari sintomi di innamoramento, ma, stranamente, la cosa non lo intimoriva. Avevano cenato ed erano usciti nella tiepida sera di maggio, poi si erano fermati su una panchina del lungomare. Spigo le aveva posato timidamente una mano sulla spalla, lei si era voltata delicatamente e si erano baciati, ignari della gente che passando li osservava.
Una bella storia, fatta di condivisioni e naturali contrapposizioni, di passioni e tenerezze, durante la quale Spigo aveva imparato quanto possa essere controproducente considerarsi a priori refrattari al vero amore. Fino a quando lei, in completa autonomia e senza fornire un’adeguata ragione, aveva deciso di chiudere ogni forma di contatto e sparire per sempre. Spigo, dopo i primi momenti di costernazione e sgomento, si era riproposto di considerare la cosa come una lezione di vita, da cui apprendere che sì, è tutto relativo.
Viviana, una splendida parentesi della sua vita che gli aveva fatto del male, ma che non riusciva a detestare. Viviana chissà dove sei adesso!
‒ Spigo, stasera ti tocca la vellutata ai funghi!
La voce squillante di Celso, perfettamente in sintonia con un faccione rubicondo e gioviale, corredato da un folto paio di baffi neri, riporta Spigo alla realtà. Si volta sorridendo all’amico e spostando i gomiti dal tavolo per fare posto al piatto fumante. Un profumo penetrante di sottobosco umido sale tra i vapori della vellutata e i precedenti nostalgici pensieri cedono il posto a una appetitosa realtà.
Il piatto dello chef Celso è davvero invitante e Spigo lentamente delizia il palato guardando sempre il mondo esterno oltre la vetrata. Il viavai sul marciapiede è calato, così come il traffico sull’adiacente via centrale. Spigo nota dall’altro lato della strada un podista, molto veloce e con un passo ben cadenzato. È ormai buio e il riverbero del frontalino luminoso sulla fronte del podista non permette a Spigo di capire se si tratti di uno degli iscritti alla società. L’esperienza sportiva pluridecennale di Spigo riesce a fargli percepire, secondo più, secondo meno, quale sia la media a chilometro. Però, corre a 03:45 … Sembra un leprotto nano!