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«L’importanza di ascoltare i nostri figli» S. De Virgilio

Oggi vi proponiamo il punto di vista sulla nostra società e sul futuro che ci attende di Sara De Virgilio, psicoterapeuta e scrittrice, che ha pubblicato con noi la sua prima raccolta di favole per bambini, intitolata Bilalla! (collana I Gerbilli): storie semplici, ma dal significato profondo, che lasciano aperti tanti spunti di riflessione, per nutrire la curiosità e la fantasia dei più piccoli.

L’autrice sarà al nostro stand (padiglione 2, H05-G06) al Salone del Libro di Torino lunedì 14 maggio (nel pomeriggio) per incontrare i suoi lettori e firmare le copie di Bilalla! 8 favole per bambine e bambini curiosi.

Nel frattempo, eccovi le riflessioni di Sara De Virgilio scaturite dalle (ormai celebri) cinque domande del Salone edizione 2018. La ringraziamo tantissimo anche per la foto che ci ha regalato, foto che rappresenta con tenerezza la sua idea di futuro.

  1. Chi voglio essere?
    La mia formazione professionale, sono una psicoterapeuta a indirizzo psicodinamico, mi consente di tenere a mente costantemente il dinamismo psichico che coinvolge l’essere umano. Per quanto l’identità venga a costituirsi e si solidifichi nell’età adulta, essa continua a modificarsi per tutto l’arco della vita.La società occidentale, in effetti, sta attraversando una fase in cui è il narcisismo, in senso lato, a farla da padrone, per cui non è più sufficiente riconoscere sé in se stessi, ma spesso occorre essere riconosciuti attraverso gli occhi degli altri, e se noi possiamo vederci solo se siamo visti, occorre investire molto sull’immagine e sulle aspettative sociali. Ciò inevitabilmente limita l’espressione del sé autentico e spesso porta a vivere una sofferenza profonda. Il processo di conoscenza del sé è sicuramente faticoso e alle volte anche doloroso perché implica un contatto con alcune parti della propria personalità e delle esperienze di vita che talvolta non piacciono e che possono essere anche angoscianti, ma è indispensabile per godere appieno di ciò che autenticamente siamo.
  2. Perché mi serve un nemico?
    È inevitabile che i confini si formino quando il numero dei soggetti è elevato e se pensiamo alla popolazione mondiale, è davvero considerevole.Le nostre nazioni sono pertanto grandi gruppi di persone che condividono una cultura comune, una lingua e molto altro. Fare parte di un gruppo  porta a costituire un’identità gruppale che implica inevitabilmente la formazione di confini e conseguentemente stereotipi rispetto all’Altro. Se si tengono a mente queste dinamiche, di fronte a una difficoltà di integrazione, si possono fare delle riflessioni e prendere la giusta distanza tra ciò che realmente è e a ciò che le fantasie dell’ingroup rimandano. L’incontro, il confronto, la collaborazione sono certamente auspicabili perché penso fortemente che le differenze siano un valore aggiunto e non impedimento, tuttavia ritengo che, oltre quanto sopra citato, spesso siamo coinvolti in questioni economico-politiche che hanno tutto vantaggio dal mantenere divisi i popoli e consolidare il timore dell’altro, considerandolo nemico, anziché valorizzare quello che di diverso e nuovo può insegnare.
  3. A chi appartiene il mondo?
    Premetto che talvolta siamo presi da una nota pessimistica che ci porta a ponderare quanto “si stava meglio quando si stava peggio”, dimenticando che lo sviluppo dell’uomo ha portato a vivere periodi storici molto difficili, basti pensare alle grandi guerre, alle carestie, alle epidemie.La ciclicità con la quale la crisi si alterna allo sviluppo ci permette di riflettere e sperare che il futuro non sia solo decadenza e fallimento. Ciò però non ci esime dal pensare alla grande responsabilità che il singolo ha sulla collettività di oggi e di domani. Forse è banale affermare che il mondo è di ognuno di noi e tutti abbiamo il dovere di curarlo. Fino a quando riterremo che il potere di decidere quello che sarà lo hanno solo le persone di potere, allora non potremo sfruttare la grande potenzialità che ognuno ha nella realtà del proprio microcosmo. Rispettare l’ambiente in cui siamo inseriti, gli altri e noi stessi, ascoltare i nostri figli insegnando loro l’importanza dei limiti come risorsa e non impedimento, valorizzare le differenze, tutto questo può aiutarci a preservare e a migliorare il mondo che viviamo.
  4. Dove mi portano spiritualità e scienza?
    Da sempre il potere è coagulato in scienza e religione che hanno, in parte, permesso una grande evoluzione dell’essere umano, e in parte lo hanno soggiogato a un sistema oppressivo.  Eppure esse sono nate con e dall’Uomo che sappiamo avere una natura ambivalente e che per questo non può non declinarsi anche nelle scienze e nelle religioni che sono opera sua.
  5. Che cosa voglio dall’arte: libertà o rivoluzione?
    L’arte nasce soprattutto dall’esigenza di esprimere il proprio mondo interiore, ma non solo, anche i disappunti o le gioie legati al contesto storico, sociale, culturale, politico ed economico che si vive. L’arte è bellezza, ma anche denuncia di un disagio, che si sviluppa attraverso il singolo ma lo trascende. Per cui è davvero molto difficile scindere la manifestazione di libertà o di rivoluzione che si crea nel momento in cui si fa arte. Essa appartiene all’artista ed è comunicazione, solo sua? Della società? Come si può disgiungere?