Uniti per vincere – L’inizio
Ecco il terzo capitolo del romanzo Uniti per vincere di Osvaldo Agostani!
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Capitolo tre. L’inizio
L’ufficio di Sonia si trova immediatamente a sinistra nel corridoio del terzo piano dove c’è solo la direzione generale. Così appena le passo davanti mi vede e mi chiama subito.
«Ben tornato ingegnere, ha appena telefonato l’ingegner Capitani chiedendo di lei.»
Anche Sonia non mi dà del tu come invece si fa in America e in Inghilterra e non dice “ha telefonato Mario” ma “l’ingegner Capitani”. Lei fa parte ancora della scuola classica e ci tiene a usare un certo stile.
«Che voleva?»
«Non l’ha detto. Ha chiesto solo di essere richiamato al più presto.»
«Va bene, mi dia il tempo di arrivare alla scrivania e me lo chiami per favore.»
È ben vero che Mario ed io abbiamo entrambi la linea privata diretta, ma far chiamare qualcuno dalla propria segretaria è di solito un modo per mostrare importanza.
«Ciao Mario, in cosa posso esserti utile?»
«Ieri non c’è stato tempo per dirti che dobbiamo urgentemente rivedere i dati del Piano Generale del prossimo anno, prima che vengano sottoposti all’esame dei controller di gruppo a Londra.»
«Ma li abbiamo già concordati due settimane fa con Rocca. Ed era la terza e ultima verifica. Oltretutto dobbiamo inviarli entro fine mese e stiamo già elaborando la stesura definitiva.»
«Luca, non è il caso che ti rammenti che adesso Rocca è fuori e che la responsabilità generale delle unità produttive italiane ricade sulle mie spalle. Non posso certamente accettare di ‘subire’ i risultati del prossimo anno, senza averne convalidato le linee guida a priori.»
«D’accordo allora cosa proponi?»
«Oggi è mercoledì, vengo da te lunedì e ne discutiamo, così condivideremo il budget tutti insieme, tu, io e i tuoi dirigenti.»
«Caspita, due giorni di tempo per preparare tutte le tabelle e i grafici per la discussione…non so se ce la faremo.»
«Quattro giorni e mezzo a partire da questo momento. Quattro giorni e mezzo. Avete anche sabato e domenica.»
«Ok ci proviamo.»
«Grazie, ciao.»
Accidenti ci voleva anche questa! Adesso pretenderà pure lui un ritocco in più dei parametri di budget. Già Rocca ci aveva torchiati per le feste: in tre successive occasioni da luglio ci aveva chiesto risultati sempre più aggressivi. Dovremo raschiare il fondo del barile.
«Sonia, per favore, convochi per le ore 14 qui da me il Dottor Marzotta e il signor Lanza. Riunione straordinaria. Urgente. Nel caso disdicano precedenti impegni.»
Massimo arriva per primo, puntualissimo, qualche minuto prima delle 14. Come al solito non ha un capello fuori posto, vestito e camicia perfettamente stirati, scarpe e cintura dello stesso colore.
«Ciao. Novità? Perché questa riunione improvvisa; è successo qualcosa su a Civate?»
«Siediti. Mettiti comodo mentre aspettiamo Gigi.»
Questi arriva con qualche minuto di ritardo e si vede che ha un diavolo per capello.
«Scusate il ritardo ma sono nei casini. Io quel Mollari lo fucilo! Spero che la riunione sia breve, perché devo assolutamente risolvere un problema con la Metalplast, altrimenti ci fermiamo sulla linea delle Band Saws [seghe a nastro].»
«Calmati Gigi e siediti comodo. Quale è il problema?»
«È la solita storia. Dieci giorni fa eravamo in emergenza sulla linea della TGS: il centro di lavoro 16, quello delle fiancate, era in grave ritardo. Così abbiamo dovuto fermare l’attività programmata sul centro di lavoro 14 e rinforzare la produzione di fiancate per quattro giorni, altrimenti il camion per la Svezia non partiva in tempo (e Dio sa quali casini ci avrebbero fatto quelli, sai come sono precisi i nordici…ho dovuto garantire personalmente a Nilstrom che il carico non avrebbe subito ritardi). Ma così facendo abbiamo dovuto fermare il lotto di piccole Band Saws, perché non avremmo avuto tutte le fiancate necessarie e anticipare invece il lotto di fine mese delle grandi Band Saws. Per queste avevamo quasi tutto, tranne un particolare di plastica che abbiamo dovuto far anticipare dal fornitore. Ma Mollari si è dimenticato di cambiare a mano l’MRP [Material Requirement Planning = Piano di Fabbisogno dei Materiali] lunedì della scorsa settimana, così il fornitore non ha visto la modifica di programma!»
«Ci fermiamo?»
«Abbiamo ancora materiali per un paio di giorni e poi trenta persone si fermano.»
«Un paio di giorni significa che lavoriamo fino a venerdì. Se il fornitore facesse degli straordinari sabato e magari domenica, lunedì potremmo avere un numero sufficiente di particolari per mantenere aperta la linea, e poi potremmo attivare una staffetta in tempo reale con dei camioncini fra qui e la Metalplast…»
«È possibile, ma devo agire immediatamente con Massiroli della Metalplast. Non ho un minuto da perdere. E quello non ne vuol sapere di straordinari sabato e domenica.»
«Gigi non ti dico di esagerare, ma forse potremmo riconoscergli un contributo…anche se così le tue Variazioni del Prezzo di Acquisto peggiorano[PPV = Purchasing Price Variations, indicatore di gruppo che controlla l’attività dell’Ufficio Acquisti]. Comunque adesso mettiti comodo, rilassati. Per favore dimentica per un’ora quel problema e concentrati su una nuova realtà.»
«Un’ora – borbotta – non ce l’ho un’ora io.»
Adesso hanno entrambi uno sguardo un po’ incuriosito ma non sono preoccupati. La notizia del cambio dell’Amministratore Delegato è sicuramente di pubblico dominio. Probabilmente a quest’ora ne è al corrente anche l’ultimo degli operai.
«Non è di Rocca e di Capitani che vi debbo parlare. Anche se pure questo è un argomento che toccheremo. Sì, Capitani è da oggi il nuovo Amministratore Delegato, ma ci sono cose più importanti che ci riguardano.»
Pausa.
«La White & Rocket intende andar via da Perugia: chiudono l’azienda.»
Mi aspettavo qualsiasi reazione ma non questa: Massimo non fa una piega e sorride un po’.
«Non è la prima volta che lo dicono. Io sono qui da quasi tre anni e ho sentito che negli ultimi dieci è già stato minacciato tre volte. E l’ultima, prima di Franchini, era già cosa fatta.»
Il volto di Gigi non tradisce emozione, da quel bravo giocatore di poker che deve essere un vero capo ufficio acquisti.
«Ragazzi questa volta è vero. Non c’è scampo. Non chiedetemi come, ma ho in mano i piani segreti. Questa volta è deciso: si chiuderà il primo di ottobre del prossimo anno.»
Adesso cominciano a capire.
«Hai in mano i piani segreti?»
«Sì, ed è una cosa maledettamente ben organizzata. Fin nei minimi dettagli. Vi basti sapere che hanno intenzione di investire ventitré miliardi di lire per tutta l’operazione.»
«Ventitré miliardi. Ma è la metà di tutto il budget di quest’anno!»
Tipica reazione da controller quella di Massimo.
«Hanno formato una squadra di esperti e sono quasi tutti italiani: sono i nostri colleghi di Molteno che si incaricheranno di farci a pezzi.»
«E già – fa Gigi – il lavoro di qui, dato a loro, aumenterà il fatturato di Molteno e con la conseguente diminuzione di costi, per l’effetto volume generato dallo spostamento della nostra produzione al nord, decolleranno per un bel po’ di anni.»
«Magari in un anno le cose possono anche cambiare.» Massimo lo dice quasi a sé stesso.
«No, quelli non cambiano mai le loro decisioni definitive» commenta Gigi che è nella Compagnia da quasi quindici anni.
«In verità io la penso come Gigi, ma ho deciso di combattere lo stesso e di non rassegnarmi, anche se probabilmente sarà tutto inutile. Lo devo alla gente che sta qua sotto, di cui in un modo o nell’altro sono il capo. Sarebbe troppo comodo nella vita avere i vantaggi del comando nella bella stagione e scappare al primo pericolo reale. Lotteremo fino in fondo come se avessimo ancora una possibilità. Io penso che in definitiva la chiave del successo sia questa: credere sempre in una possibilità, ricercarla e perseguirla con determinazione. In un modo o nell’altro una possibilità c’è sempre.»
Il primo a parlare è Gigi ed è una rivelazione: «Tu sai che sono venuto qui abbastanza contro voglia. Per non dire che mi ci hanno obbligato. Però adesso sono qui. Ci siamo posti degli obiettivi ambiziosi con questo budget; l’ho discusso, studiato, ci ho lottato sopra con impegno. Da un po’ di anni in vita mia non provavo più l’emozione della sfida come negli ultimi due mesi. Oltretutto ho già iniziato a far funzionare diverse cosette che daranno presto interessanti soddisfazioni. E no, caspita, non possono dirmi che avevano scherzato, che mi hanno preso in giro! Sono tornato a lavorare sugli acquisti con l’energia di qualche anno fa. Non mi va di lasciar perdere.»
«Io ho fatto trasferire mia moglie a Perugia questa primavera, – dice Massimo – stiamo organizzando di mettere su casa qui perché è veramente un bel posto. Non è che si può cambiare piano di vita ogni sei mesi. E poi se li abbandoniamo noi questi qui sotto non hanno più nessuno a cui appoggiarsi.» Ma allora Massimo non è un arido controller, uno yuppie in carriera, e Gigi non è un manager un po’ appassito.
«Comunque ragazzi di tempo ne abbiamo sia per lottare che…per cercarci un altro posto, se proprio vedremo che andrà male. Siamo nella prima metà di novembre, io dico che se qualcosa si può fare deve essere realizzata entro la primavera. Dopo sarà tutto inutile. E ciascuno avrà ancora tempo di trovare una propria strada.»
«È giusto» fa Gigi, serio.
«Giusto, – dice Massimo, – abbiamo un piano?»
«A grandi linee sì, ma nei prossimi giorni dobbiamo elaborare una strategia precisa nei particolari. Intanto dobbiamo tenere sotto stretto controllo le iniziative che abbiamo lanciato nei mesi scorsi. Ci credevamo, quindi devono funzionare. Poi dobbiamo coinvolgere subito il Consiglio di Fabbrica, io avrei idea di parlare direttamente in privato con Cavallini. Che ne pensate?»
«Ottima idea, Alessandro è un uomo intelligente, capirà.»
«Si, – aggiunge Massimo – non possiamo non coinvolgerli subito. Dopotutto è anche la loro vita che è in gioco.»
«Però una cosa deve essere chiara a tutti fin da ora: dobbiamo mantenere il segreto all’esterno dell’azienda; non deve trapelare nemmeno l’idea che siamo al corrente del piano. Questo è il punto più difficile di tutta l’operazione. Fin che ci crederanno all’oscuro non ci creeranno difficoltà, anzi in qualche modo potrebbero anche fingere di aiutarci.»
«C’è un problema importante da affrontare subito…» Massimo è un po’ titubante.
«Cioè?»
«Cioè manca il Direttore di Produzione in questa fabbrica. Tu reggi le cose personalmente perché sei un esperto nel settore, ma d’ora in poi dovrai concentrarti nel coordinamento delle operazioni strategiche e devi liberarti un po’ dei fastidi quotidiani dei reparti. Bisogna cercare subito uno che ti aiuti.»
«Già ma chi? Se lo cerchiamo all’esterno non solo arriverebbe fra parecchi mesi, ma sarebbe anche una bella carognata chiamare un tipo valido imbrogliandolo sul futuro. E all’interno non mi sembra che ci sia nessuno; sono tutti bravi capi reparto ma nulla più.»
«Va bene, non occorre che sia un esperto, dopotutto ci sei sempre tu che controlli e dirigi le operazioni, basterebbe uno che avesse carisma e fosse intelligente. E io penso di conoscere il tipo adatto qui dentro.»
Lo guardiamo attenti.
«Si chiama Rasticchi. È stato per vent’anni il Responsabile della Progettazione; è un esperto di motori. Adesso ha una scrivania in un angolo del Servizio Qualità, con un incarico nei Progetti Speciali, dove l’ha sbattuto Franchini l’anno scorso per farlo fuori quando sono entrati in contrasto.»
I ‘Progetti Speciali’ erano un incarico non ben definito (e senza nessuna importanza), in cui venivano parcheggiati manager indesiderati, nella speranza che decidessero di andarsene dopo che erano loro saltati i nervi [oggi questo atteggiamento aziendale viene definito ‘mobbing’]
«Ma c’è di più, – continua, – non solo è stimato da tutti qui dentro, perché è un uomo di grande esperienza nel suo settore e molto intelligente, è anche assessore nel comune di Perugia. Un comunista ovviamente. Ed è un leader carismatico all’interno della fabbrica.»
Guardo Gigi. Concorda.
«Ok, lo chiamerò al termine di questa riunione. Un’altra cosa. Pensate che sia il caso di allargare il direttivo a Stefano Giglioni? Dopotutto è l’ingegnere capo della Qualità.»
Nessuna obiezione anche su questo. Giglioni è sveglio e la Qualità è altamente strategica.
«Da ultimo…ma tu non dovevi scappare in fretta? – sdrammatizzo un po’ con Gigi che invece è molto coinvolto – lunedì arriva Mario e vuole ridiscutere con noi tutti i parametri del prossimo budget. Ce la fate a preparare tutti gli schemi?»
«Bah per me non c’è molto da fare: ho tutti i dati pronti da presentare ai controller di gruppo e quindi…»
«Vorrà dire che stavolta non torno a Milano e mi passo il fine settimana qui» sospira Gigi. Sorrido.
Mi era sembrato nei mesi scorsi che fossimo una squadra discreta. Adesso però penso che questi due sono proprio in gamba. Chissà che non si possa fare una bella partita. Qualche minuto prima delle cinque sento di là la voce di Sonia che dice a qualcuno «Sì, Palmiro, l’ingegnere ti sta aspettando – e subito al telefono – Ingegnere c’è qui il signor Rasticchi. Faccio passare?»
La prima impressione quando varca la porta e mi stringe la mano è un po’ dubbia, ma la stretta è sincera e ha uno sguardo vivace, mentre gli occhi mi studiano con rispettosa cordialità. Sono in azienda da più di quattro mesi e l’avrò visto di sfuggita si e no un paio di volte.
«Allora signor Rasticchi che ci fa un uomo come lei giù ai Progetti Speciali?»
L’approccio diretto l’ha colpito positivamente. Rialza le spalle, seduto nella poltrona di fronte a me, e mi fissa fiero.
«Sono stato per vent’anni capo dell’ufficio tecnico. Si può dire che ho progettato tutti i prodotti che abbiamo costruito da quando la White & Rocket ha acquistato la fabbrica giusto vent’anni orsono.»
Si sente che è orgoglioso del suo passato.
«Anche recentemente, all’epoca di Franchini, penso che se abbiamo fatto bella figura nella compagnia, lo si deve ai nuovi prodotti che abbiamo saputo immettere velocemente sul mercato. E con prestazioni assolutamente concorrenziali.»
«Infatti sono al corrente della storia recente e dei vostri ultimi successi. Ma una cosa che non riesco a capire è come mai una persona della sua professionalità e del suo livello, perché lei è uno degli unici due settimi livelli, sia finito in un incarico che veramente non ho ben chiaro. In realtà in questi primi mesi non mi sono molto interessato dei Progetti Speciali ma, se debbo essere sincero, mi sembra che siano una cosa un po’…fumosa.»
«Perfettamente vero, – sorride un po’ amaramente, – io ho favorito Franchini nei primi tempi, perché sembrava che potesse e volesse salvare l’azienda che versava in una delle sue solite crisi. Lui ha capito che potevo portargli al seguito tutti i dipendenti e si è molto appoggiato su di me. Poi, una volta ottenuti i suoi successi personali, cioè diventato Amministratore Delegato qui a Perugia, ha cominciato a correre per conto suo, disinteressandosi di tutti e dell’azienda. È stato allora che siamo entrati in rotta di collisione. Non potevo permettergli di rovinare tutto quello che avevamo fatto, ora che lui aveva altri scopi. Così sono diventato il suo nemico numero uno. E Franchini ha deciso di scaricarmi. Non avendo motivo di licenziarmi (e forse non volendo rischiare una mezza rivoluzione), mi ha cacciato in un angolo a far niente, sperando che mi saltassero i nervi.»
Capisco benissimo. «Signor Rasticchi, se l’azienda avesse bisogno di lei, potrebbe fidarsi ancora una volta di un Direttore Generale?». Mi guarda profondamente e ha gli occhi sereni.
«Credo di sì.»
Non ha chiesto cosa significhino questi discorsi. Non ha posto condizioni. Ha semplicemente detto di sì. E questa è la differenza fra gli uomini veri e gli altri: i primi ‘sentono’ i momenti e le situazioni importanti, non hanno bisogno di spiegazioni. Gli altri li devi convincere.
«Adesso per favore mi stia bene a sentire: la fabbrica non ha un Direttore di Produzione, un uomo cioè che governi tutti i problemi quotidiani, comandi i capi reparto e garantisca l’efficienza dei diretti. Un responsabile che coordini gli investimenti tecnologici e il corretto flusso interno dei materiali. Qualcuno che si prenda la briga di seguire la qualità della produzione e sappia dialogare con i tecnici di supporto. Oggi non abbiamo chi garantisce interamente il piano di produzione. Cioè ci sono io, ad interim come si dice, ma d’ora in poi è indispensabile che mi dedichi ad altro.»
«E lei vorrebbe che fossi io quest’uomo? – scuote la testa dubbioso – se le occorre un buon capo della progettazione, certo che le posso dare una mano, è il mio terreno. Ma in produzione…non ne ho la più pallida idea. Mi dispiace. Non credo di poterla aiutare.»
«Rasticchi guardi, nei primi tempi le insegnerei tutto io direttamente, la guiderei ogni giorno, dovrebbe solo avere la pazienza di imparare. E mi creda non è un ruolo difficile, ci vuole solo gran buon senso a essere Direttore di Produzione. Diverso è essere un responsabile di progettazione: lì sì che è necessaria competenza tecnica settoriale. Ma in produzione occorre soprattutto carisma e conoscenza delle persone. E da quanto ne so lei ne ha da vendere.»
«Be’, certo, un po’ di seguito in fabbrica ce l’ho. Ma non so se basterebbe…»
«Basterebbe, basterebbe. E poi non è che abbiamo molta scelta lei e io.»
«Che vuol dire ingegnere?»
«Voglio dire che l’azienda è giunta ancora una volta al capolinea e questa volta probabilmente per sempre.»
Silenzio.
«Rasticchi quanto le dico ora è estremamente riservato e conto sul suo onore. La compagnia ha deciso di chiudere definitivamente questa unità produttiva entro meno di un anno. Se non facciamo qualcosa di straordinario non ci sarà più una fabbrica qui. E le garantisco che a quanto ne so è molto più grave e decisivo di come lo sia stato ai tempi di Franchini. Io l’ho saputo ieri leggendo i piani segreti dell’operazione, e da oggi sto cercando di raccogliere tutti gli uomini validi per un’azione disperata. Attualmente posso contare su Marzotta e Lanza che sono al corrente da due ore. Lei è il terzo e a mio giudizio è indispensabile nella nostra squadra. Vuole lottare con noi a ogni costo?»
«Con tutto il rispetto ingegner Andreani, si rende conto di cosa mi sta chiedendo? E senza garanzie?»
«Sì. E lei crede che avrei usato questi argomenti se avessi un piano alla Franchini? Si comportò così Franchini per convincerla a entrare nella sua squadra?»
Palmiro Rasticchi resta pensieroso per un po’, non mi guarda più. Poi rialza lo sguardo e mi fissa nel profondo con candore.
«No, Franchini non usava questi toni, aveva un altro stile. Qualcosa mi dice che le devo credere. Le credo. Non mi tradisca mai per favore. Farò tutto quello che posso. Quando debbo cominciare?»
La sera in fabbrica è tutto diverso. Non ci sono le chiamate telefoniche isteriche dei clienti e dei colleghi. Non ci sono polemiche personali da sedare, né documenti da esaminare. Nemmeno accadono particolari guai di solito la sera. L’atmosfera è un po’ quella da villaggio antico, cadenzata sul ritmo degli operai più anziani che fanno i turni. Stamattina mi sono alzato molto presto e ho anche un bel viaggio sul groppone, ma non sento stanchezza. Ho solo voglia di stare con la mia gente ancora un po’.
Sono entrato a mensa alle sette e mezzo e gli operai si sono piuttosto meravigliati di vedermi a quell’ora mangiare con loro. Sono abituati a incontrarmi all’una e mezzo ma mai di sera.
Per cena c’era ‘pasta alla norcina’. [Maccheroni conditi con salsiccia spezzettata fine e cotta in padella senza condimento, con aggiunta di panna al termine e cosparsi di polvere di peperoncino. Provare!].
Al termine sono entrato in fabbrica, passando prima dal magazzino che era deserto di uomini ma strapieno di materiali, tutti ammassati un po’ alla rinfusa, particolarmente nell’area di accettazione (mi chiedo come facciano a trovare i componenti urgenti in quel caos, e la risposta è semplice: non li trovano). Oltre il magazzino vero e proprio, (che non è nemmeno cintato, mentre dovrebbe essere un ambiente chiuso, onde evitare furti o semplicemente usi impropri di materiali), esiste un’altra area di quasi duemila metri quadrati coperti, completamente occupata da materiali. E sono tutti messi in bell’ordine come se fossero lì da molto tempo. File interminabili di cestoni sovrapposti fino al quinto ordine di altezza, tanto che le lampade delle campate sono praticamente nascoste e la luce è fioca. Ecco dove sono i miliardi di stock che generano un numero così assurdamente basso di ‘giri di inventario’ [quante volte in un anno si sostituisce completamente il magazzino]. E la cosa più ridicola poi (ma forse stasera non c’è molto da ridere) è che con un tale livello di stock le fermate delle linee sono abbastanza frequenti per mancanza di materiale! Certo abbiamo un surplus immenso di materiale, dovuto a cattiva programmazione, ma non abbiamo il materiale che ci serve. Oltre a tutto, questa enorme quantità di particolari, che non viene utilizzata per molto tempo e in parte anche dimenticata da un sistema di gestione inefficiente, crea il fenomeno dell’obsolescenza: ovvero una parte dei materiali va fuori serie dopo un certo numero di mesi o di anni, perché i prodotti di cui fanno parte escono dal catalogo. Così devono essere distrutti con gravi perdite (in verità la distruzione degli obsoleti comporta la dichiarazione ufficiale di una perdita, così per molto tempo le direzioni hanno preferito ‘dimenticarsi’ di questi obsoleti, che adesso raggiungono la ragguardevole cifra di un miliardo di lire).
Fuori dal corpo principale della fabbrica c’è un altro capannone per gli imballi, materiali infiammabili, cartoni, pallets e cose strane che giustamente è tenuto separato dalla legge anti incendio.
Se pensiamo poi che nei reparti la gente lavora nascosta dietro immani cataste di materiali, che giacciono accanto ai centri di lavoro e alle linee di produzione, perché il servizio logistico interno segue una procedura di approvvigionamento a lotti settimanali, possiamo ben dire che in realtà questa fabbrica non è altro che un gran deposito di materiali.
Ricordo che un tempo un esperto direttore di produzione diceva che, girando per una fabbrica, tre sono le cose che ti fanno capire a colpo d’occhio il grado di inefficienza e sono nell’ordine: la quantità di materiali che vedi, il numero di persone che osservi muoversi in giro o ferme alle macchine dei caffè e il ritmo dei movimenti del personale nei posti di lavoro.
Qui ho già avuto occasione di notare come un po’ tutti e tre questi elementi negativi siano presenti in buona misura; ma il livello dei materiali da solo basterebbe a definirci disperatamente inefficienti, anche agli occhi del più sprovveduto dei visitatori. Il primo reparto umano che incontro è la meccanica. Gli uomini del turno serale sono un po’ sorpresi di vedermi così tardi ancora fra loro. Tutti salutano con un gesto o con un sorriso mentre passo. E io ricambio. Di tanto in tanto entro nella zona di un centro di lavoro e chiacchiero un po’ con gli operai. Qualcuno è timido e parla a monosillabi, ma altri sono più estroversi e colgono l’occasione di scambiare qualche parola con il direttore. Ho bisogno di imparare a conoscerli, sapere delle loro famiglie, sentire qualcosa delle loro idee. Vicino al centro di lavoro numero sette vedo Pianella, il numero due del sindacato. Gli chiedo se Cavallini, il capo del Consiglio di Fabbrica, è presente questa sera, ma mi dice che ci sarà domattina perché fa il turno dalle 6 alle 14. Con lui per il momento non mi sbilancio, anche perché Pianella resta sulle generali e molto educatamente non entra in discorsi sindacali. È sera anche per lui dopotutto. Nel residence dove abito è tutto silenzio quando rientro. D’estate c’è un gran via vai fino a notte, anche perché il bar nella piazzetta sottostante è aperto fino a tardi con musica. Ma in questa stagione sono tutti chiusi in casa. Perfino nell’appartamento delle tre studentesse che abitano sopra di me non si sente volare una mosca, contrariamente al solito.
Veramente strano. Forse però sono a divertirsi altrove. L’atmosfera nei reparti è tutta diversa la mattina. Più rumore, gente che si muove un po’ dovunque, via vai di carrelli che passano trasportando grandi cestoni di materiali. Rondoni, il capo della meccanica, mi saluta dal suo box in mezzo al reparto, quando mi vede passare nel corridoio centrale. Intravvedo Cavallini, seminascosto dietro due gigantesche cataste di alberini per motori, che sta litigando con il tornio numero tre. Si accorge della mia presenza solo quando gli sono proprio accanto.
«Non si può andare avanti così! Non potete chiederci di fare buoni risultati con questi catorci di macchine.»
«Cosa c’è che non va?»
«Cosa c’è che non va?! Cosa c’è che va piuttosto! – picchia una manata sul mandrino – Ci fate lavorare su macchine antidiluviane. Questo tornio per esempio ha venticinque anni, è ancora dell’epoca precedente l’arrivo della White & Rocket qui. Funziona solo alla prima velocità, se lo si fa andare a velocità superiori salta la protezione termica ogni quarto d’ora. Avete da cacciare i quattrini se volete che combiniamo qualcosa di buono qua dentro. Ingegnere non si vedono investimenti da almeno tre anni.»
«Certo che no. Immagino che lei capisca che una multinazionale fa investimenti dove rendono. Bisogna prima dimostrare che si è capaci di far funzionare al meglio gli impianti esistenti, per poter ottenere qualche soldo, altrimenti quelli stanno in attesa e investono altrove.»
«E no, questa storiella è vecchia. Diciamo invece che quelli ci spremono fino in fondo con il minimo di spesa e poi magari buttano via l’osso. Questo è quello che vediamo da molti anni qui dentro. Noi non siamo più d’accordo. Nella prossima riunione con la Direzione ne vogliamo parlare a fondo. Altrimenti questa volta faremo delle azioni. Siamo stanchi di promesse e discorsi generici. L’interesse di una multinazionale si vede dagli investimenti che fa, il resto sono chiacchiere. Mi scusi la franchezza ma è così. Lei è nuovo qui, d’accordo, ma è lei la Direzione e ci deve dire con chiarezza dove stiamo andando. I primi mesi glieli abbiamo concessi. Ma il nostro credito è finito. Adesso si comincia a discutere sul serio.»
«D’accordo. Ero passato di qui per dirle che avrei bisogno di parlare con lei.»
Vedo che riprende subito il controllo di sé.
«Ma non in riunione ufficiale, un incontro separato preliminare.»
«Quando?»
Non è sorpreso, infatti questi incontri separati e riservati non sono frequenti, ma si usano in particolari momenti.
«Presto, il più presto possibile.»
«Vuole che venga da lei in mattinata o nel pomeriggio dopo che sono smontato dal turno?»
«No, no, non nel mio ufficio. Deve essere un incontro segretissimo. Non voglio che nessuno sappia che ci siamo incontrati. Non ci dobbiamo incontrare qui dentro. E io purtroppo sono nuovo di Perugia, non ho idea di dove si possa trovare un posto discreto qui intorno.»
Mi guarda attento. Piuttosto incuriosito.
«Venga da me, alla Circoscrizione, questa sera alle nove.»
«Quale Circoscrizione?»
«Io sono Presidente di Circoscrizione a Castel del Piano, ho un ufficio lì, e questa sera non ci sarà nessuno. Avremo agio di parlare tranquilli. Vada in direzione dello stabilimento della Perugina, poi giri a destra sulla statale, arriverà a Castel del Piano. La Circoscrizione si trova accanto al campo sportivo, c’è anche un bar lì e vedrà sicuramente delle auto. L’ingresso è dietro l’angolo degli spogliatoi, è defilato, non la vedrà nessuno arrivare.»
«Ma qualcuno potrebbe notare la mia auto.» Scuote la testa.
«Impossibile, è proprio dietro e non c’è luce, nessuno passa mai di lì. Poi in questa stagione fa freddo la sera e stanno tutti a casa. Troverà la porta aperta, io sarò dentro.»
Cavallini non ha voluto spiegazioni, ha ‘sentito’ subito che doveva accettare senza discutere la strana proposta. Anche lui fa parte del primo gruppo, quello degli uomini veri. La porta della Circoscrizione è un rettangolo scuro nel buio della notte. Al termine di due corridoi vedo una luce; dentro l’ufficio c’è Cavallini che sta tentando di avviare una macchina del caffè a gettoni.
«Vedo che anche questa non scherza in fatto di efficienza, – lo provoco, – non è che il Partito non vi dà sufficienti investimenti, vero?»
Sorride.
«Ci riesco. Fra poco ci riesco. Le offro un caffè o preferisce una bibita? Magari con una Coca Cola si sente più a suo agio?». Fingo di non cogliere la battuta molto fine: la Coca Cola è una multinazionale americana come la White & Rocket. Alessandro Cavallini si siede al suo posto dietro la sua scrivania e si distende con comodo. Io mi metto sulla semplice sedia di fronte e appoggio con noncuranza una cartelletta sul tavolo. Credo sia la prima volta che un incontro fra un Direttore Generale e un rappresentante sindacale si svolga in questo modo: con lui seduto al tavolo dalla parte del comando. E mi rendo conto che Cavallini si sta godendo questo momento di gloria.
«Le dispiace se mi accendo una sigaretta? – mi offre il pacchetto di Marlboro, – Ne vuole una anche lei?»
«No grazie, ma fumi pure. Più tardi me ne accendo anch’io una delle mie. Io le fumo più leggere.»
«Allora ingegnere cosa bolle in pentola? Non mi dica che è venuto qui per parlarmi in anteprima di investimenti.»
«No, infatti. L’argomento è più importante.»
Mi studia attento.
«Si tratta del futuro dell’azienda. Ma prima di cominciare ho bisogno che facciamo un patto chiaro fra noi. Un patto d’onore. Le cose che diremo qui stasera devono assolutamente restare segrete e lei non è autorizzato a parlarne con nessuno senza il mio consenso preventivo.»
«Be’…dipende…»
«No. Non dipende proprio da niente. Crede che sarei qui in questa situazione, davanti a lei, se ciò che le sto per dire non richiedesse premesse del genere? Ha mai visto una situazione simile? Ha mai sentito parlare di un Direttore Generale che ha avuto un approccio come questo?»
«In verità…no.»
È un po’ perplesso, ha perso quell’aria di simpatica sicurezza. Si sta chiedendo cosa diavolo ci facciamo qui stasera come due carbonari.
«Ho deciso di giocare questa carta perché nelle riunioni sindacali, da quando sono arrivato, ho avuto la sensazione che lei sia una persona seria e che ha a cuore veramente le sorti della fabbrica e della sua gente.»
Annuisce.
«Fra poco capirà che non avevo alternative, dovevo venire così da uomo a uomo davanti a lei e giocarmi tutto su una mia sensazione. Se mi sono sbagliato peggio per me, ma soprattutto peggio per l’azienda.»
Alessandro Cavallini ha perso del tutto il tono spavaldo del padrone di casa e si muove un po’ nervosamente sulla sedia.
«Le propongo un’alternativa: procederemo per gradi. Comincerò con il dirle le cose fondamentali, sinteticamente. Se lei se la sentirà di mantenere il segreto continuerò, altrimenti interromperemo. Va bene?»
«D’accordo. Proceda pure.»
«Vogliono chiudere la fabbrica.»
«Be’, non è una novità, – sorride, – da almeno quindici anni se ne parla. Poi riusciamo sempre a cavarcela. Magari lei non lo saprà ma tre anni fa con Franchini eravamo arrivati proprio alla fine. Si parlava di una riduzione generale e progressiva dei volumi di produzione e si era già cominciato a trattare di diminuzione di personale. Poi il vento è cambiato e siamo ancora qui. Non gli conviene andare via da Perugia, mi creda, costerebbe troppo. E poi le nostre produzioni non sono bagatelle come quelle di Molteno e di Spennimoor [il più grande stabilimento europeo, in Inghilterra], trapanini! Qui facciamo un prodotto altamente professionale, non si improvvisa. Noi abbiamo un’esperienza di trentacinque anni di attività; quanto tempo ci vorrebbe a quelli di Molteno o di Spennimoor per imparare a produrre come noi?»
«Ah, Cavallini, lei non sa proprio quello che sta dicendo! – scuoto la testa – Non stiamo parlando di aerei o di automobili o di prodotti altamente tecnologici. Stiamo parlando di semplici macchinette per tagliare il legno. Non abbiamo nessun componente nei nostri prodotti che richieda materiali speciali o tecnologie particolari. Il processo più complesso da noi è la verniciatura. Sa lei di quanti componenti sono formati i nostri prodotti?»
«Mah, credo parecchie centinaia…no?»
«La TGS, che è il più importante, ne ha solo duecento dieci. La RAS ne ha qualcuno di più, ma non arriva a trecento. E la maggior parte sono viti, rondelle, etichette e sciocchezze di questo tipo. Di stampi ne abbiamo relativamente pochi e usiamo materiali comunissimi. Non ci vuole proprio niente a trasportare dovunque le nostre produzioni. Io, con la mia esperienza, le garantisco che in due o tre mesi saprei avviare le nostre produzioni anche in Cina.»
«Va bene. Ammettiamolo pure. Ma perché dovrebbero andar via da Perugia? D’accordo, non stiamo andando al massimo, ma già lei sta facendo fare dei progressi all’azienda che vedranno anche loro in fin dei conti. E con un po’ di impegno e qualche piccolo investimento possiamo dare utili ancora. Se si tratta di discutere qualche accordo fra sindacato e direzione noi siamo sempre stati disponibili e lo siamo ancora.»
«No, questa volta non ci saranno trattative né accordi sindacali. Almeno fino al momento in cui bisognerà affrontare la chiusura.»
«Ingegner Andreani non è per sfiducia nei suoi confronti, mi creda, ma chi mi dice che quello che lei sta raccontando non sia altro che una furba manovra da nuovo Direttore Generale (molto furba in verità), per farci fare altri e più profondi sacrifici? Non è che lei ci sta mettendo paura per ottenere ampie concessioni da noi e fare una gran bella figura per la sua carriera? Non potrebbe essere anche così?»
«Sì, potrebbe essere anche così.»
Faccio una pausa e lo guardo dritto negli occhi con intensità.
«Ma io le garantisco che è invece maledettamente reale. In questa cartelletta ci sono i piani segreti della chiusura che ho avuto in via riservata da una persona importantissima. Sono disposto adesso a farglieli vedere, se mi garantisce quel segreto che le ho chiesto prima. Il fatto è che lei deve giocarsi tutto in pochi istanti: deve guardarmi profondamente negli occhi e dire cosa ci vede. Se ci vede lealtà e sincerità possiamo continuare. Se ha dei dubbi, peggio per tutti. Senza di lei non si può fare. Lei è l’unico in questo momento che ha in mano le sorti della fabbrica e se le deve giocare in pochi minuti basandosi sulla sua sensibilità.»
«Forse sì…credo che se avesse voluto giocare con me avrebbe potuto farlo in altro modo…non qui, così.»
Cavallini abbassa gli occhi, si rende conto che c’è in aria qualcosa di veramente grosso, qualcosa che lo sta incastrando al muro: ha voluto essere il capo del sindacato? Adesso tocca a lui decidere e assumersi le sue responsabilità. Queste sono situazioni in cui essere leader non è così piacevole, sono momenti in cui vorresti essere come i tuoi compagni a casa, in pantofole, a gustarti la partita in televisione.
«D’accordo, andiamo avanti, le do la mia parola che non dirò niente a nessuno senza sua autorizzazione.»
Apro lentamente la famosa cartelletta.
«Lei conosce l’inglese?»
«Be’…no, però un po’ lo capisco.»
«L’inglese scritto intendo. Qui è tutto in originale, scritto da e per gli inglesi e gli americani.»
Cavallini si sporge con attenzione sul tavolo per cogliere ogni cosa e cercare di capire.
«Le tradurrò io riga per riga. Ok? Lei cerchi di verificare quello che dico seguendo personalmente.»
Man mano che procedo la sua attenzione diventa spasmodica, comincia a preoccuparsi seriamente, e alla fine è veramente scosso. Ha capito. Però ha ancora un sussulto: non può essere vero!
«Ma questi documenti potrebbe esserseli fabbricati lei! Chiunque può scrivere queste cose su fogli così anonimi.»
«Già…Però guardi qui, in alto su questo foglio: lo vede che c’è l’intestazione del fax di Molteno, la data e l’ora della trasmissione? E vede qui anche il destinatario, il quartier generaledi Londra? Certo chiunque può fare queste cose. Ma deve essere un satana!»
Adesso Cavallini ha davanti chiara la situazione e si comporta come sa.
«Ma noi possiamo reagire! Non gli lasceremo portare via le macchine e i prodotti così facilmente. Qui siamo a Perugia e tutti i compagni della provincia e della regione ci aiuteranno. Bloccheremo tutto, autostrade, ferrovie. Mobiliteremo la cittadinanza, gli uomini politici. Siamo in grado di picchettare la fabbrica per mesi e mesi se occorrerà. Faremo un casino che si sentirà anche fuori dall’Italia!» Scuoto la testa commosso.
«Cavallini, lo sa anche lei che non ce la potrete fare. Quelli sono gli americani. Sono come carri armati. Passano dovunque, non li può arrestare nessuno. È come se foste un esercito che combatterà con i fucili contro i cannoni e l’aviazione. Resisterete per un po’ (e loro l’hanno già previsto, vede qui nel piano?), poi dovrete cedere e cederete come hanno fatto tutti in ogni parte del mondo.»
«Ma allora cosa possiamo fare? – quasi urla e la voce è spezzata – Stare a vedere centinaia di famiglie che se ne vanno sulla strada? Vecchi che hanno lavorato una vita, ragazzi che speravano di aver trovato una soluzione e hanno appena messo su famiglia, con i figli piccoli e il mutuo da pagare. No, io non posso accettarlo, ingegnere, io non so cosa, ma qualcosa devo fare.»
«Bene, io invece so cosa si può fare. È difficile. Maledettamente difficile. Ma si può tentare. Io un piano ce l’ho: l’ho pensato in questi giorni e ho l’esperienza e la capacità per portarlo avanti. Dopotutto ho quarantasette anni e da venti sono in fabbrica, sono stato nelle aziende manifatturiere più importanti della Lombardia e le ho fatte funzionare. Caspita, posso fare funzionare anche questa. Ho solo bisogno che lei mi aiuti con gli operai. Il mio compito sarà quello di creare le iniziative di miglioramento e dirigerne l’implementazione con i dirigenti e i capi, e ho già il copione tutto chiaro nella mente, e poi di ‘vendere’ la nostra immagine in giro per tutto il mondo White & Rocket. Lei dovrà far sì che i dipendenti non pongano obiezioni e collaborino al massimo. Dovremo essere una squadra sola. Tutta la fabbrica dovrà essere un’unica squadra.»
Non parla.
«Dopotutto vi chiedo di provare per sei mesi. Ci impegniamo con il mio piano fino a giugno. Se per allora avremo vinto, bene, ce ne accorgeremo, altrimenti avrete ancora tutto il tempo per le vostre iniziative.»
Adesso si è stabilito un legame fra noi. Non ci sono più il Direttore Generale e il capo del sindacato in questo ufficio che è diventato gelido nella notte che avanza. Qui, in mezzo al fumo delle sigarette, due cospiratori hanno stretto un’alleanza che va al di là di ogni logica. Io e Cavallini siamo uniti in un progetto impossibile. E lo sappiamo.
«Domani troverò il modo di parlare agli altri. Lo farò con discrezione, come vuole lei. Ma ho buone speranze che mi capiscano. Hanno sempre creduto ciecamente in me. Questa è la volta che mi gioco tutta la reputazione. E forse anche qualcosa di più.»
«D’ora in avanti agiremo coordinati, – dico io, – le illustrerò periodicamente lo stato di avanzamento e i risultati. Le darò indicazioni operative per quanto riguarda il comportamento degli operai e degli impiegati. La gente dovrà sapere che io e la direzione siamo con voi, ma dovremo fare finta di giocare sempre ruoli contrapposti. Questo a beneficio dell’Amministratore Delegato e di quelli di Molteno. Loro devono credere che io svolgo un ruolo tradizionale, per cui al momento opportuno mi organizzerete contro qualche manifestazione. Lo farete in modo che risuoni all’esterno, ma all’interno la gente deve essere sicura che io sono con voi.»
Sorride.
«Ci pensiamo noi a creare un po’ di fumo. Vedrà come sappiamo operare in modo riservato qui. Neanche il sindacato di Molteno capirà cosa sta succedendo.»
«Infatti, non fidatevi del sindacato di Molteno. Non so se è coinvolto, ma sicuramente non sarà mai dalla nostra parte. Quando mi farà sapere qualcosa?»
«Domani sera.»
Verso le sei del pomeriggio di venerdì Cavallini mi chiama al telefono dalla Circoscrizione.
«Ho riunito il Consiglio di Fabbrica oggi. Ho spiegato la situazione e hanno capito benissimo. Sono d’accordo all’unanimità. Abbiamo deciso di combattere con lei. Può procedere, ha tutta l’azienda dalla sua parte.»