Franzosi: «Euroscettici? Aiutati da debolezza Ue»
Il libro affronta uno tra i temi più caldi della politica contemporanea: la sfida che in tutta Europa i partiti euroscettici di recente o meno recente formazione hanno lanciato contro l’Unione europea. In realtà, le forze in questione costituiscono un universo non omogeneo, né cristallino; ma un mondo variegato di partiti e movimenti, ognuno caratterizzato da proprie originalissime qualità. In alcuni casi diviene persino difficile ricondurre la loro critica a una posizione genuinamente euroscettica, per non dire anti-europea. Per Edizioni Epoké gli autori di «Contro l’Europa» rispondono ad alcune domande e curiosità sul saggio.
Potresti spiegare gli obbiettivi del vostro libro?
«Lo scopo del libro è un’analisi dell’articolato, per certi versi magmatico, fenomeno dell'”euroscetticismo”, alla luce dei recenti successi che lo vedono protagonista in ogni paese d’Europa.Il testo si rivolge a un pubblico di non (soli) specialisti, pertanto si comprende bene l’intento di fare un poco di chiarezza circa un tema di difficile comprensione ma che riguarda ormai da vicino la vita di tutti gli Europei».
Si può individuare il momento storico a partire dal quale i partiti euroscettici hanno cominciato a raccogliere consensi rilevanti?
«Non è possibile indicare una data. Gran parte delle cause del successo dei partiti e dei movimenti “euroscettici” hanno natura remota. Tra queste, la crisi del modello di partito storico, quello che ha caratterizzato il sistema di partiti delle democrazie occidentali così come le abbiamo conosciute finora, la fragilità dello stato nazionale di fronte alla globalizzazione e al nuovo corso della geopolitica, l’impotenza politica dell’Unione europea.Il primo capitolo è dedicato a un approfondimento delle stesse. A queste si sommano cause di natura interna ai singoli paesi: emblematici in questo senso sono i casi italiano e francese. Infine, se proprio occorre indicare un passaggio importante, questo è rappresentato dalla firma del Trattato di Maasticht (1992) che crea l’Unione Europea e determina una svolta nel processo di integrazione».
Quali sono i loro punti di forza e di debolezza?
«Il punto di forza principale è la capacità di intercettare il malcontento diffuso, la rabbia dei cittadini e il senso di frustrazione nei confronti di una UE incapace di rispondere alla crisi in modo rapido ed efficace. Senza dubbio la crisi economica, la crisi di legittimità delle istituzioni comunitarie, che altro non è che il prodotto della loro impotenza, la crisi di rappresentatività dei partiti tradizionali e le difficoltà degli stati nazionali nel garantire protezioni sociali adeguate sono tutti elementi che rafforzano il fronte euroscettico (che spesso si sovrappone a quello populista).Il punto di debolezza è probabilmente legato al fatto che questi partiti riescono a prosperare solo in condizioni di “emergenza” e di difficoltà degli altri attori politici; finita la protesta è difficile trovare la proposta».
Ad oggi, quale partito contro l’Europa è più organizzato e influente?
«E’ difficile dire quale sia il partito più forte e più organizzato tra gli euroscettici. Molti dei partiti che hanno ottenuto un grande successo sull’onda dell’ostilità contro l’UE sono partiti che avevano già una loro connotazione e che hanno approfittato della crisi dell’Unione per aumentare i loro consensi (vedi i casi del Front National e della Lega Nord). Forse possiamo indicare il caso dello UKIP come quello di maggiore successo: questo partito nasce con una chiara matrice euroscettica e fa dell’anti integrazionismo un elemento costituente della propria piattaforma programmatica.Il sovranismo britannico è declinato in chiave anti-Europea: difendiamo le nostre tradizioni, la nostra democrazia, la nostra integrità territoriale, la nostra moneta dalle influenze deleterie dei tecnocrati di Bruxelles. La rapida crescita nei consensi, la capacità di riconfermare ad ogni elezione europea degli ottimi risultati elettorali, una maggiore capillarità nell’insediamento territoriale e l’abilità nel mostrarsi difensori del modello britannico stanno garantendo allo UKIP la possibilità di insidiare la base elettorale conservatrice, e al contempo minacciare le posizioni del labour negli strati sociali popolari e della working class. A livello europeo Nigel Farage è ormai unanimemente riconosciuto come il massimo rappresentante delle posizioni sovraniste e anti europee».
Domanda di attualità: quali conseguenze avrebbe portato all’UE la scissione della Scozia?
«Una vittoria del sì al referendum scozzese avrebbe potuto rafforzare tutta una seria di spinte centrifughe all’interno di alcuni stati dell’UE, alimentando un effetto domino rispetto al mito delle piccole patrie e del localismo.Sicuramente una vittoria degli indipendentisti scozzesi avrebbe rafforzato le spinte di indipendentisti come i catalani e i fiamminghi. Una eventuale Scozia distaccatasi da Londra avrebbe poi avuto serie difficoltà nell’entrare all’interno dell’UE dato i prevedibili veti della Gran Bretagna e della Spagna (per l’appunto preoccupata dalla questione catalana). In senso generale una vittoria del sì avrebbe potuto aumentare la spinta verso la frammentazione e la parcellizzazione territoriale del continente senza al contempo stimolare spinte aggregative verso la dimensione sovranazionale».