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Il gufo della Valle degli Ori brulicanti

Lassù nella Valle degli Ori brulicanti, nessuno sapeva perché si chiamasse così, nemmeno il vecchio Isidoro che di anni ne aveva ormai 102 (e sì che lui di albe e tramonti ne aveva visti crescere e calare), dicevamo, lassù nella Valle degli Ori brulicanti esisteva una piccola fattoria («cascina» la chiamava quel vecchio brontolone di Isidoro, «che fattoria è un nome da cittadini») con attorno verdi pascoli e poco giallo grano; nella cascina viveva la giovane Eudora, figlia unica e diletta di mamma Giulia e papà Onofrio. Fuori, giusto dirimpetto alla casa, c’era un grande e maestoso abete: era davvero bello, i suoi aghi verdi color “occhi belli” erano conficcati a forza tra i rami marroni e l’albero si protendeva, immenso e austero, verso l’azzurro del cielo impreziosito dai raggi dorati del sole.

Eudora aveva un sogno: far sì che il suo abete diventasse uno splendido albero di Natale, illuminato da tante lucine colorate. Non osava più chiedere a suo papà di addobbarlo: ogni volta che ci aveva provato, i suoi le avevano risposto che non era possibile, era troppo costoso comprare tutte quelle lampadine e inoltre non avevano una scala alta abbastanza per salire sino alla sommità; la loro povertà non lasciava spazio ai grandi addobbi natalizi. Come ogni anno, però, all’inizio dell’autunno, Eudora si intristiva al pensiero che, ancora una volta, si sarebbe dovuta accontentare del solito piccolo alberello finto, che la mamma cercava di rendere sempre un pochino più ricco, ma che ai suoi occhi appariva sempre inadeguato.

Era appunto uno di quei giorni di fine settembre quando Eudora vide, o più precisamente intravide, tra le ombre scure di una sera incipiente, uno strano animale che si era posato su un ramo del suo albero prediletto. Guardò più volte, socchiuse gli occhi per ripararsi dal rosso riflesso del sole calante, ma continuava a non capire che uccello fosse quello che si era fermato di fronte a lei. Poi d’improvviso la strana creatura spalancò gli occhi, due splendidi dorati occhi gialli si posero tra lei e il suo amico abete: era un gufo, ma un gufo strano. Eudora non riusciva a comprendere bene perché lo vedesse diverso, poi si rese conto: il rapace era appeso a testa in giù. Da quel giorno lo strano gufo non si mosse da lì, faceva solo qualche piccolo volo; Eudora pensava che lo facesse per “sgranchirsi le ali”, ma poi imperterrito tornava sempre al suo posto, appeso al suo ramo, rigorosamente a testa in giù. Non passavano alba e tramonto che qualche altro gufo non passasse da quelle parti, ma non si avvicinava mai troppo a Brillo, quello era il nome che la bambina aveva scelto per lui; i suoi simili passavano, lo guardavano, poi si allontanavano. Lo fanno perché non capiscono il suo modo di star appeso, pensava Eudora, che si rammaricava per la solitudine del nuovo amico.

Passarono i mesi e tutto lì attorno si coprì di bianco, il Natale era alle porte, la tristezza dipingeva di scuro il viso della bimba e la solitudine del gufo imperava sovrana, allorché, una mattina, una bianca colomba si posò sul ramo vicina a Brillo. La colomba non scappava, anzi, sembrava piacerle molto quel suo nuovo amico a rovescio. Non si curava affatto della sua diversità, anzi, ne era affascinata. Da quel giorno i due furono inseparabili; in giro si mormorava che ormai fossero una famiglia, una famiglia felice. La nuova situazione fece sì che, pian piano, anche la diffidenza degli altri uccelli diventasse via via meno forte e prima un gufo, poi un altro, poi un altro ancora si posarono sul grande abete.

La notte di Natale giunse. Eudora era in casa, seduta vicino al piccolo alberello che mamma Giulia aveva addobbato come meglio poteva; la bambina fingeva una felicità che non era in lei, non voleva far sentire in colpa i genitori, ma il suo sogno era sempre lì, presente come la sera ma buio come la notte, quando, alzando gli occhi, vide fuori dalla finestra uno spettacolo affascinante: il grande abete era illuminato da grandi palline dorate. Eudora gridò così forte la propria gioia che svegliò dal torpore anche il vecchio vicino di casa Isidoro e tutti uscirono fuori, increduli e felici.

Eudora stringeva forte la mano di papà Onofrio, era emozionata più del primo giorno di scuola. Non capiva da dove arrivassero quelle splendide lucine; poi una di loro si mosse, anzi prese il volo, e allora Eudora capì: l’abete brulicava di tanti grandi occhi dorati di una miriade di gufi, tutti lì riuniti per festeggiare il Natale. Poi la punta del maestoso albero si scosse, la splendida colomba bianca si adagiò proprio sulla sommità dell’abete. Ecco, ora l’albero era completo. Il miracolo della Valle degli Ori brulicanti si era ripetuto dopo secoli. L’oro degli occhi dei gufi aveva riportato la gioia nel cuore di una creatura buona. Anche la luna se ne accorse e, sospinto da un flebile soffio di vento, mandò un suo raggio ad avvolgere in un abbraccio quello splendido albero di Natale. Poi, con l’Epifania, quel magico Natale finì, ma il gufo a testa in giù e la dolce colomba rimasero sul loro abete a insegnare la pace e portare letizia.

 

Testo inedito di Claudio Dellacà, autore di Discromatopsia, 2017, collana Tempi Modesti.