Le fasi del M5S. Il commento di Lanzone
All’avvio, il non-partito di Grillo mette, dunque, in scena la rivolta dei soggetti e dei progetti locali, interpretati da attori locali, comprimari di una rappresentazione più ampia, disegnata e sceneggiata da due sole figure. Un protagonista e un regista-sceneggiatore.
Non per caso, all’epoca, per evocare e definire il M5S utilizzai l’immagine dell’autobus. Un mezzo scelto dai cittadini per realizzare e conseguire fini limitati. Ma precisi. Senza impegni di lunga durata. Senza obblighi senza legami verso gli altri passeggeri. I cittadini interessati potevano, per questo, comprare un biglietto, salire. E scendere più avanti. Alla fermata che corrispondeva con la destinazione che interessava loro. L’autobus di Grillo, per questo, poteva accogliere un pubblico diverso, in continua evoluzione. Ma era sempre pieno.
I tempi, però, da allora, sono cambiati. E anche il M5S è cambiato. Non è più un autobus. Ma un sistema di trasporti e di comunicazioni che copre il territorio “nazionale”. Non è più un non-partito. È un “partito”. Come tutti i partiti partecipa alle competizioni elettorali. Nelle quali vengono eletti rappresentanti che operano in Parlamento, alle Camere. E, per quanto agisca in nome della “democrazia diretta”, è un attore partecipe della democrazia “rappresentativa”.
Dalla prefazione “C’era una volta il non-partito dei progetti locali” del sociologo e politologo Ilvo Diamanti al volume Parma: 5 anni a 5stelle? Pizzarotti, da Grillo a Effetto Parma di Mara Morini e Maria Elisabetta Lanzone, collana Saggi (nell’immagine, un dettaglio della copertina).
Partendo dal contributo di Diamanti, abbiamo formulato tre quesiti sul percorso intrapreso dal M5S: oggi ci risponde Maria Elisabetta Lanzone, dottoressa di ricerca presso l’Università di Pavia e professoressa a contratto presso l’Università di Padova, dove insegna Sociologia della Politica.
Ieri. Tra il 2009 e il 2013, quali fattori hanno favorito il consenso di massa verso il progetto di Grillo e Casaleggio?
Lanzone: «Durante la sua prima fase il M5S è stato senza dubbio una forza politica capace di intercettare il malcontento dei cosiddetti “delusi dalla vecchia politica”. Non credo si possa parlare di “antipolitica”, ma piuttosto di “protesta” guidata da imprenditori politici che sono stati abili a cogliere la sfiducia e l’insoddisfazione degli elettori. Il voto creato dopo il crollo di Forza Italia ha fatto il resto. Alle origini, soprattutto durante la sua fase locale, il M5S ha “pescato” i propri voti soprattutto nell’area del centrosinistra e tra gli astensionisti, comunque vicini a quell’area, e lo ha fatto nelle regioni del centro-nord, specialmente nell’ex “zona rossa”. Nel corso del tempo ha iniziato a spostarsi anche a destra e a diventare sempre di più un partito nazionale».
Oggi. Si può ancora parlare di movimento? La mutazione da forza contestatrice a forza di governo ha lasciato qualcosa sul campo?
Lanzone: «Dal punto di vista scientifico, il M5S è un partito a tutti gli effetti ormai da parecchio tempo e cioè da quando ha deciso di trasformare il suo progetto civico in qualcosa di elettorale. Da quando, dunque, si è presentato alle elezioni e ha iniziato a piazzare propri rappresentanti nelle istituzioni, prima locali (comunali e regionali) e poi nazionali e sovranazionali. Sicuramente il M5S è cambiato molto nel tempo, pur volendo far leva, soprattutto da un punto di vista retorico, ancora sulle proprie origine protestative. Senza dubbio il cambio di leadership da Grillo a Di Maio è stato un passaggio fondamentale per il processo di istituzionalizzazione del M5S. In ogni caso, si tratta di un processo ancora in corso con molte variabili che restano in campo».
Domani. Quali saranno le evoluzioni del M5S? In particolare, l’alleanza con la Lega di Salvini è un fatto contingente o i rapporti tra le due forze sono destinati a intensificarsi saldando un “fronte populista” duraturo?
Lanzone: «Di sicuro l’alleanza è stata, per così dire “necessaria”, e le divergenze tra le due forze politiche restano evidenti, anche a causa del “peso” importante rappresentato dalla Lega e che verrà sempre più rivendicato dal suo leader, Salvini. Talvolta le politiche dei due partiti (almeno quelle promesse dalla loro agenda elettorale) restano incompatibili. Il periodo specifico e alcune condizioni che si sono create nel nostro Paese hanno comunque favorito il “fronte populista” e dunque è possibile che si tratti di qualcosa destinato a durare nel tempo. Mi sento comunque di dire nel medio periodo. Una prima prova importante sarà rappresentata dalle elezioni europee della prossima primavera, e poi credo che molto dipenderà anche da come riusciranno a riorganizzarsi gli avversari. Cioè, se sarà possibile riuscire a creare alternative credibili, soprattutto nell’area progressista. Di sicuro i tratti populisti sono un ottimo collante, ma non qualcosa di indistruttibile».