«Le primarie sarde? hanno fallito l’obbiettivo»
Le elezioni primarie, in Italia, rappresentano una novità in campo di selezione dei candidati. Il primo caso rilevante a livello nazionale è datato 2005, in occasione della selezione per il candidato premier de «L’Unione» vinta da Romano Prodi. Dopodiché (soprattutto per i partiti e le coalizioni di centrosinistra) l’utilizzo di questo strumento ha cominciato a prendere piede e le primarie sono ora utilizzate a livello comunale, regionale e nazionale. Per Epoké Stefano Rombi, autore, insieme a Carlo Pala, di “Fallire per vincere? Il centrosinistra sardo dalle Primarie alle Elezioni Regionali 2014”.
Potresti descrivere in generale il contenuto del libro?
«Il libro parla principalmente delle elezioni primarie che si sono svolte in Sardegna il 29 settembre 2013, mentre l’ultima parte riguarda le elezioni regionali di febbraio. L’idea è nata da me e Carlo (Pala, NdR), insieme facciamo parte di un gruppo di ricerca che studia le elezioni primarie da molto tempo sia a livello regionale sia a livello nazionale. Ad oggi abbiamo una grossa mole di dati, anche relativi a sondaggi su coloro che hanno partecipato alle primarie e si sono iscritti al Pd in Sardegna. Il punto di partenza è stato analizzare le risposte degli elettori e l’atteggiamento degli iscritti al Pd in materia di primarie. La terza parte del libro è dedicata al confronto dei dati sulle elezioni regionali con l’esito delle primarie, per verificare se fosse presente (e con quale peso) una relazione tra selezione ed elezione. Le primarie sarde hanno avuto uno svolgimento strano dato che Francesca Barracciu (vincitrice della selezione) si è poi ritirata, o è stata ritirata dal partito a seconda delle interpretazioni, dalla competizione regionale e sostituita da Francesco Pigliaru. I dati a disposizione ci hanno permesso di analizzare l’influenza di questo cambio sul risultato delle regionali».
Puoi dirci qualcosa in più sul gruppo di ricerca di cui fate parte tu e Carlo Pala?
«Il gruppo di ricerca si chiama Candidate and Leader Selection (www.cals.it) ed è nato nel 2005 in occasione delle primarie vinte da Romano Prodi. Non ci occupiamo solamente di primarie, ma in generale delle modalità di selezione della leadership adottate dai partiti, che potrebbero non necessariamente essere le elezioni primarie. Nel nostro interesse è anche capire come i partiti hanno reagito alla crisi che li sta attraversando. Crisi intesa come trasformazione, non si stanno dando giudizi sulla forma di partito attuale, ma interessa vedere come i partiti si adattano a un mondo che cambia velocemente. Le primarie per noi sono da interpretare come uno strumento di adattamento».
Le primarie sono uno “strumento” nuovo quindi, perlomeno per l’Italia. Pensi che nel tempo possa crescere la loro importanza, la loro legittimità?
«Le primarie sono già uno strumento importante. Sono state organizzate poco meno di 1000 primarie, di cui molte a livello comunale, ma resta comunque un numero abbastanza grande. Potrebbero crescere ancora di più se, come probabile, si innescasse un processo imitativo e altre aree politiche (oltre al PD, che è sicuramente il maggiore organizzatore) iniziassero ad utilizzare questo strumento che da un lato democratizza la selezione della leadership, e dall’altro lato risolve i conflitti interni al partito».
Come potrebbero istituzionalizzarsi, trovare stabilità nella forma?
«Le primarie sono private, e quindi la pubblica amministrazione non le disciplina. Un modo per renderle maggiormente istituzionalizzate e quindi rigide nella forma sarebbe renderle pubbliche, regolamentarle. Si sono verificati alcuni casi a livello regionale in cui è stata data alle primarie una maggiore correttezza formale. In Sardegna, ad esempio, poco prima delle elezioni di febbraio è stata inserita una modifica statutaria che prevede l’impiego delle elezioni primarie per selezionare i candidati, si rimanda però alla Legge regionale la concreta attuazione (una situazione analoga si verifica in Toscana). Ciò significa che il processo deve ancora terminare, ma il primo passo è stato fatto».
Il caso della Sardegna è stato quindi un’eccezione?
«Le primarie in Sardegna hanno fallito il loro obbiettivo. Accade raramente che il candidato venga messo da parte. Non sono primarie fallite, ma hanno fallito l’obbiettivo. Primarie fallite sono quelle di Napoli, famose per essere state annullate dal partito per una serie di “incursioni” illegittime alle urne che hanno prodotto il fallimento della selezione».
Quale consiglio daresti a un organizzatore di primarie per migliorarle?
«Le primarie devono essere aperte se vogliono avere un effetto concreto sulle elezioni successive. Non bisognerebbe nemmeno porsi il problema sull’ apertura o la chiusura della selezione, secondo le nostre ricerche devono essere massimamente inclusive per avere un maggiore impatto sulle elezioni successive. E sarebbe più efficace stabilire un regolamento standard per non modificarlo ad ogni selezione».