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Salone sì, Salone no. Opinioni a confronto

Meglio tardi che mai, come si suol dire.

Mercoledì in tarda serata, a poche ore dall’apertura del Salone Internazionale del Libro 2019, il Comune di Torino e la Regione Piemonte hanno deciso: la casa editrice Altaforte è fuori dalla kermesse. Una svolta maturata dopo l’esposto presentato martedì contro il suo responsabile Francesco Polacchi, contro cui la Procura di Torino ha aperto un’inchiesta per apologia di fascismo. Se martedì la sindaca Appendino e il governatore Chiamparino avevano scelto di rivolgersi alla magistratura ma di non bandire l’editore legato a CasaPound dal Salone, il giorno dopo sono arrivati a una decisione diversa. Gli organizzatori hanno dunque rescisso il contratto con la casa editrice.

Nei giorni scorsi abbiamo interpellato i nostri autori a proposito dell’amara querelle, chiedendo loro, quando ancora si dava per certa la partecipazione di Altaforte:

Cosa ne pensi della vicenda e delle diverse posizioni (Salone, istituzioni, intellettuali come Murgia e ZeroCalcare)? Tu parteciperai al Salone quest’anno? Come dovremmo comportarci noi editori? E gli intellettuali invitati a intervenire alla manifestazione? La libertà di opinione è sempre valida? È corretto lasciare spazio anche a chi pubblicamente difende il fascismo? La democrazia è anche questo? Cosa lascia la discussione al mondo dell’editoria e, in generale, della cultura?

Ecco di seguito le prime due risposte che ci sono arrivate, a caldo, quelle di Bruno Soro e di Federico Asborno.

Bruno Soro

Già Professore associato di Politica economica nell’Università degli Studi di Genova, Bruno Soro ha recentemente pubblicato con noi il volume Capire i fatti. Saggi divulgativi di Politica economica e Società, collana Saggi.

Per mia grande fortuna (e un pizzico di malizia) non partecipo alla cosiddetta “invasione degli imbecilli” dei social media, richiamata da Umberto Eco, i quali «danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività». Metto in stand-by radio e TV quando trasmettono la pubblicità e salto regolarmente le pagine dei quotidiani che fanno pubblicità agli imbecilli (martedì scorso «La Stampa» ha dedicato ben quattro pagine a Salvini e a Di Maio, che tutto sono fuorché imbecilli considerata la posizione che sono riusciti a conquistarsi grazie alla rete). Questa mattina ho spento persino la radio dopo che la giornalista del Manifesto ha parlato per ben venti minuti della notizia della famiglia rom vessata da Casa Pound.

Mi compiaccio con Edizioni Epoké che partecipa al Salone del Libro di Torino. Quanto alla vicenda della casa editrice vicina a Casa Pound che pubblica il libro di Salvini, senza tutta la pubblicità gratuita che gli deriva dalla valanga di commenti radiotelevisivi, dei social e dei quotidiani sarebbe rimasta una piccola e sconosciuta casa editrice.

Odio la pubblicità, che è l’oppio dei populismi. Scusate lo sfogo, ma questa mattina non ne posso proprio più. Meno ne so e meglio sto (fa anche rima).

Federico Asborno

Professore di Lettere, Federico Asborno lo scorso anno ha pubblicato con noi la sua prima raccolta di racconti, intitolata Le ragazze amano le preposizioni semplici, collana Narrativa.

26 giugno 1924. Il socialista Giacomo Matteotti è scomparso da sedici giorni.

I parlamentari dell’opposizione al governo Mussolini si riuniscono nella sala della Lupa di Montecitorio, dichiarando che non parteciperanno ai lavori del Parlamento fino a quando non si sarà fatta luce sull’accaduto e, soprattutto, sul presunto coinvolgimento del premier.

Quel gesto, che voleva essere simbolico e utile a manifestare plasticamente il dissenso di chi era democratico nei confronti di chi non lo era, come insegnano tutti i libri di Storia fu però una delle cause indirette della definitiva affermazione del fascismo e in seguito della sua trasformazione in una dittatura, e di Mussolini nel suo Duce.

Questo per dire cosa?

Che l’Italia del 2019 corre di nuovo il rischio di vedere nascere un nuovo regime?

Che la situazione del 1924 e quella di oggi sono paragonabili?

Secondo me no.

È per dire che l’astensione, lo starsene a casa, il farsi da parte (pur in atteggiamento di polemica) non ha mai portato bene all’antifascismo e bene invece al fascismo, che di silenzio recalcitrante si nutre e di assenza di avversari presenti e intransigenti si approfitta.

È per dire che l’assenza, anche quella che sottintende un sacrosanto “Io vicino a questi non ci sto”, non può sostituire la dialettica (dialettica, badate bene, non dialogo) con l’illiberalità. Perché è solo dalla memoria e dalla dialettica che possono nascere una condanna e una squalifica perentoria di qualsiasi rigurgito fascistoide.

Sì, fascistoide. Perché alla spicciola propaganda di Francesco Polacchi, di CasaPound e alle pubblicazioni di Altaforte nemmeno possiamo concedere l’appellativo di “fascista”, ma solo del suo cuginetto deforme, “fascistoide”, appunto.

Andare al Salone di Torino è dunque necessario, così come è necessario andarci armati di quell’arsenale che solo la cultura può fornire.

È necessario esserci per non lasciare nemmeno un centimetro di campo a chi parla la lingua nera, morta e passata del fascismo, opponendoglisi con la lingua viva, presente e indimenticabile di Primo Levi e Beppe Fenoglio, di Antonio Gramsci e Piero Gobetti, di Carlo Rosselli, di Benedetto Croce, di Eugenio Montale e di chiunque abbia levato corpo e penna a favore dell’antifascismo, che è il principio cardine della nostra Costituzione.

Questa è la lingua con la quale bisogna controbattere, ma per controbattere bisogna esserci: a Torino, a scuola, nelle piazze e di fronte a qualunque antidemocratico che pretende di poter parlare in nome della libertà di opinione garantita dalla forma di governo che lui stesso combatte.

In ultima istanza potremmo fare anche una battuta sulle scelte editoriali del Ministro dell’Interno, che punta proprio sulla piccola Altaforte di Polacchi per pubblicare il suo libro-intervista; scelta sbagliata anche dal punto di vista commerciale poiché, come ha detto di recente lo storico Donald Sassoon, un editore che si proclama fascista non ha nemmeno a cuore il proprio successo economico visto che, notoriamente, il suo pubblico di riferimento non è uso a quello che potremmo definire vizio della lettura.

Nei prossimi giorni pubblicheremo tutti i commenti dei nostri autori e, naturalmente, aspettiamo anche i vostri. Inviateci le vostre opinioni sulla vicenda a [email protected] oppure commentate sulle nostre pagine social. Siamo in ascolto.

E buon Salone a tutti!

P.s. Presso lo spazio Editori del Piemonte – ProntoLibri trovate una selezione del nostro catalogo, fate un salto al padiglione 3 stand R03-Q04.