Buon Natale, Capitano Vallone!
Nella stanza c’era un dolce tepore che invitava a rimanere nel letto. Una luce d’emergenza nel bagno rischiarava appena il pavimento nel vano della porta. Nell’aria non c’erano profumi. Qualche leggero rumore proveniva dalla strada e dal mondo esterno che ormai si era svegliato.
Gabriele era sdraiato nel letto a occhi aperti, per il momento non aveva nessuna intenzione di alzarsi. Stava vagando con la mente lontano da tutti quei pensieri che avrebbero potuto risvegliare il dolore, renderlo consapevole della propria condizione. Dopo anni era diventato esperto in questo modo di gestire la mente, riusciva a nascondere in profondità la sofferenza e parte dei sentimenti. Ma quel giorno in particolare sembrava fatto apposta per fargli rievocare i ricordi di cui aveva paura. Una mano terribile e impietosa che aveva dietro lo sterno cominciò a stringersi in un pugno, le dita si tiravano dietro tutti i fili collegati all’interno del suo corpo. Gabriele sentì il cuore contrarsi, così come lo stomaco e i muscoli delle spalle, il viso distorcersi in una smorfia di dolore. Non doveva piangere. Non voleva piangere. Di nuovo sentì incombere l’impotenza e la mancanza.
L’ultimo caso che aveva seguito (e che gli era valso encomi e riconoscimenti) gli aveva lasciato un’altra cicatrice. Il caso di Liza Collina e di Adele Stiso era stato risolto con successo, il colpevole era rinchiuso e reso inoffensivo, ma lui aveva perso un amico, lo scrittore Danilo Dineri, e se ne sentiva responsabile. Gabriele Vallone, Capitano dei carabinieri del Comando di Novi Ligure, non era stato in grado di impedire quella tragedia. Da quando aveva perso sua moglie sentiva su di sé la responsabilità di tutte le persone che non riusciva a salvare. Sapeva di non essere colpevole, tuttavia sentiva di essere responsabile.
Ma quel giorno era Natale. Con una carezza augurò buon Natale all’ombra di sua moglie che era sempre insieme a lui. Gabriele desiderava che quelli che dipendevano da lui potessero essere felici (anche se lui non riusciva più a esserlo): aveva concesso i permessi ai carabinieri che volevano passare le feste in famiglia, aveva provveduto agli addobbi in caserma e organizzato un pranzo speciale, in modo che anche quelli in servizio potessero passare un lieto Natale. Come tutti gli anni, poi, aveva generosamente contribuito al pranzo per i senzatetto e a quello degli animali abbandonati; ogni mese elargiva donazioni, ma a Natale faceva sempre qualcosa di più. Con educazione e gratitudine aveva rifiutato i numerosi inviti a pranzo. Come sempre, il primo a volerlo a tavola era il suo amico Sergio Verde, l’appuntato con cui aveva passato numerose avventure; Esther Dineri con il figlio Marco avrebbero voluto che rimanesse insieme a loro per ricordare Danilo; i suoi suoceri avevano fatto un tentativo di invito, ma neanche loro sentivano più lo spirito del Natale dopo la morte della figlia; infine, il timido tentativo del carabiniere Giada Barberis, donna bellissima, che lo aveva aiutato nel “caso Dineri” e che era chiaramente attratta da lui.
– Mi scusi, Capitano…
– Mi dica Barberis.
– Ho deciso di rimanere qui per le Feste…
– Peccato. Non torna in famiglia?
– No. Lei cosa…cosa fa?
– Niente di particolare.
– Pensavo che se non avesse niente di meglio potremmo…
– La ringrazio, ma per le Feste sono molto abitudinario, ho già organizzato tutto.
– Oh, mi scusi. Comandi.
Non era vero, non aveva organizzato niente. Come tutti i 25 dicembre voleva stare in casa al buio senza piangere, se ci riusciva.
Il cellulare cominciò a vibrare e subito dopo a suonare. Guardò il display, era Sergio.
– Pronto!
– Ciao, Gabrié.
L’Appuntato Verde era un intimo amico del capitano, ma quando erano in servizio si atteneva rigorosamente al distaccato “lei”; ora usava il “tu” e un tono confidenziale: Gabriele capì che poteva essere successo qualcosa che non riguardava il servizio.
– Ciao, Sergio. C’è qualcosa che non va?
– Beh, sì, cioè… non so ancora.
– Hai bisogno di me?
– Se puoi…
– Certo, dimmi dove sei.
– Sono fuori da casa tua.
– Mi vesto ed esco.
– Ma tranquillo, non è una cosa grave.
In pochi minuti Vallone usciva dal portone di casa.
– Scusa, Gabriele, se ti ho disturbato me è che… vedi, Gloria…
– Tua moglie? Cos’è successo?
– Nulla di che. Accompagnami, per favore, devo fare delle commissioni. Poi ti racconto.
Salirono nell’auto di Verde e si diressero verso la zona industriale.
– Devo lasciare queste vecchie coperte al canile.
Scesero entrambi. Il ricovero per animali era gestito con amore e impegno da alcuni volontari. Nelle numerose gabbie pulite c’erano cani di tutte le razze (alcuni per la verità sembravano un mix di tutte le razze esistenti), tutti abbaiavano felici, volevano conoscere e annusare i nuovi arrivati. Una bella signora con un cappotto marrone da lavoro e stivali di gomma andò loro incontro accarezzando un meticcio che le trotterellava attorno.
– Buongiorno e buon Natale.
Verde si fece avanti con un grosso sacco gonfio.
– Buongiorno e auguri, ho portato delle coperte. Magari possono servire.
– Serve sempre tutto. Grazie – gli rispose felice del dono.
Intanto Gabriele si era avventurato tra i cani che lo circondavano facendo mille feste.
La signora alzò la voce.
– Lei deve essere di animo buono, i cani lo sentono.
Gli lanciò un sorriso allegro e portò il pacco delle coperte dentro un gabbiotto.
Mentre tornava verso Verde, che era nel frattempo stato raggiunto da Gabriele, la bella signora aggiunse: – Forse non ci serviranno nell’immediato, perché stiamo sostituendo le vecchie cucce con quelle nuove coibentate.
– Bene.
– Ogni anno un anonimo ci fa una grossa donazione e, un poco alla volta, siamo riusciti a comprare le cucce nuove.
Tra molti sorrisi e auguri i due uomini si allontanarono.
A Gabriele era sembrato il momento di fare qualche domanda.
– Dimmi, Sergio. Cosa succede?
– Ma niente di particolare. Gloria si è messa intesta una cosa e sai com’è fatta…
– Dai, non sarà una cosa grave…
– No… ah, aspetta un attimo che faccio un salto lì.
Mise la freccia e girò nel parcheggio sotterraneo della stazione.
– Accompagnami un attimo a San Nicolò, mi hanno invitato e non posso mancare.
Non del tutto sereno, Gabriele seguì l’amico che, nonostante la mole, camminava molto velocemente. Entrarono nella chiesa piena di gente. La messa era appena finita e, davanti all’altare, c’era un coro di bambini delle elementari che stava cantando Bianco Natal. A Gabriele i bambini aprivano il cuore, quindi, anche se era un po’ infastidito dal comportamento di Sergio, si mise ad ascoltare con lo spirito sereno e commosso. Tra i più piccoli della prima fila un bimbo stava cercando di attirare la sua attenzione agitando la manina, lo guardò e gli occhi si riempirono di lacrime: era Marco, il figlio del suo amico Danilo. La madre del piccolo seguì la direzione dei gesti del bambino, si girò, vide Gabriele e lo salutò con un grande sorriso. Appena terminati i lunghi applausi, il piccolo Marco corse a prendere la mano di sua madre e la tirò in direzione del capitano.
– Ciao, Capitano!
Il bambino stava tirando con forza la giacca di Gabriele per farlo abbassare e, quando riuscì a farlo piegare, gli buttò le braccine intorno al collo.
– Auguri di buon Natale – disse con la vocina piena d’intenzione.
– Tanti auguri a te!
Per la prima volta da molto tempo, veri auguri di Natale erano sgorgati dal cuore di Gabriele.
Esther Dineri gli si avvicinò e lo abbracciò con calore famigliare, poi lo guardò negli occhi e su entrambi calò un velo di malinconia.
– Grazie per essere venuto.
Gabriele non le disse che era lì per aver seguito Sergio, si limitò a sorriderle.
– Hai fatto un grande regalo a Marco – continuò Esther.
– Figurati, è solo una sciocchezza.
– Non parlo del pacchetto, parlo della tua presenza qui, oggi.
Altre persone, altri famigliari, altri ammiratori del marito distolsero l’attenzione di Esther; Gabriele ne approfittò per salutare e allontanarsi.
Lui era un’autorità in paese e molti lo fermarono per gli auguri ma, diversamente da molti Natali a questa parte, quelle esternazioni di stima non lo infastidivano, anzi si sentiva stranamente aperto e disponibile.
L’ora di pranzo si stava avvicinando e Gabriele cominciava a sentirsi sulle spine.
– Senti, Sergio, se non è una cosa importante, ne possiamo parlare domani…
– Hai ragione. Devo fare soltanto due visite e poi ti libero. Ti devo parlare di Gloria e di mio figlio… a proposito, è tornato a casa per le vacanze di Natale e starà con noi per una decina di giorni. Ecco! Siamo arrivati.
– Ma è la mensa dei poveri.
– Sì, volevo sapere se hanno ricevuto…
– Niente! Io non ho donato niente.
– Lo so, il bene si fa ma non si dice. Starò zitto come il gatto con il topo in bocca.
Entrarono e s’imbatterono subito in una famiglia composta da due nonni anziani e una bambina di una decina d’anni che, con lo sguardo basso, cercavano un posto per sedersi ai lunghi tavoli imbanditi.
– Capitano! Ci è venuto a trovare! – Un signora bassina ma corpulenta lo avvicinò spandendo la propria voce come un amplificatore.
Preso alla sprovvista rimase un po’ interdetto, ma poi si riprese.
– Sì, sono passato a fare gli auguri da parte mia e dell’Arma. Vorrei chiederle se possiamo fare qualcosa.
– Oh, grazie. Lei è veramente gentile. Una mano misericordiosa ci ha donato il pranzo di Natale e i volontari sono tanti. Direi che, al momento, non abbiamo bisogno di niente. – Gli fece un gran sorriso che le illuminò il viso paffuto e roseo.
– Quella coppia di anziani con la bambina sono i genitori di Rosa, quella povera ragazza che si è tolta la vita?
– Sì, sono loro. Li conosce?
– Poco… per servizio. La bimba ha avuto un regalo?
– Un giochino, poca roba…
– Allora, dica al nonno di portarla in caserma. Noi prepariamo sempre qualche regalino, in caso di necessità.
– Oh… – La signora non riuscì a continuare a parlare e si nascose gli occhi pieni di lacrime in un canovaccio di tela.
– Per favore, non dica chi glielo ha detto – intervenne Sergio.
La donna annuì senza parlare.
I due amici uscirono e risalirono in auto. Gabriele guardava fuori dal finestrino la neve ancora pulita ai bordi delle strade, le luminarie, le persone che camminavano con pacchi e pacchettini, l’atmosfera carica di elettrica felicità. Si rese conto di sorridere contagiato dalla serenità di quei momenti.
– Portami in caserma, Sergio, voglio augurare buon Natale ai ragazzi.
Verde stava già andando in quella direzione e arrivarono in una manciata di secodi. Il capitano sorridente aspettò che il piantone gli aprisse la porta.
– Capitano, auguri!
– Auguri a te. Non è ora di pranzo?
– Sì, gli altri sono già in mensa.
– Allora chiudi. Anche se ti allontani una mezz’oretta non succede nulla.
– Ma…
– Se suona qualcuno, fai una corsa. Vieni con noi in mensa. È un ordine – disse facendo l’occhiolino.
Il giovane carabiniere non se lo fece dire due volte e seguì il capitano e l’appuntato Verde.
Appena Gabriele entrò il sala mensa un coro di auguri e saluti si alzò dai militari seduti intorno a una bella tavola imbandita. Lui rispose contento e quasi commosso da tanta riconoscenza.
– Grazie, Capitano, per questo meraviglioso pranzo di Natale. – Il Maresciallo Sciolze era scattato in piedi e alzava il bicchiere in direzione di Gabriele.
– Mi fa piacere che la rosticceria abbia fatto un buon lavoro.
– Beva qualcosa con noi.
Due bicchieri furono lestamente riempiti di aranciata (anche durante le Feste l’alcool era bandito). Tutti si alzarono in piedi e parteciparono al brindisi augurale. Dopo un quarto d’ora passato a festeggiare con i carabinieri in servizio, i due amici uscirono dalla caserma.
Gabriele era ormai libero dal dolore, era leggero e pervaso da una totale serenità. Si lasciò trasportare verso casa di Verde. Aveva capito che cosa aveva fatto il suo amico per lui e fermandosi davanti la porta lo guardò negli occhi e lo abbracciò.
– Grazie, Sergio – gli disse.
La porta si aprì, Gloria gli andò in contro e lo abbracciò affettuosamente. Lo sospinse nella sala da pranzo piena di persone. Il primo a salutarlo fu il figlio di Sergio, che gli presentò la sua nuova fidanzata; poi altri parenti e amici di famiglia lo abbracciarono sinceramente felici di averlo insieme a loro; per ultima, un po’ nascosta dalla confusione, una bella ragazza mora si avvicinò timida e impacciata.
– Auguri, Capitano.
– Giada, anche lei qui! Che bello!
Le fece un sorriso aperto e sincero poi, scambiandosi due baci sulle guance, i due si fecero gli auguri di Natale.
Il pranzo fu una vera festa per Gabriele: era la prima volta da anni che il dolore lo lasciava, poteva dirsi nuovamente felice.
Dopo aver abbondantemente mangiato, bevuto, riso e parlato, Gabriele si alzò e guardò dalla finestra. Una miriade di fiocchi bianchi stava scendendo ballando nell’aria. Era perso nello stupore di quell’evento meraviglioso, quando nel riflesso del vetro vide il volto di sua moglie, bella come quando l’aveva conosciuta e radiosa come nel giorno del loro matrimonio. Sentì la sua voce che gli diceva: – Auguri, mio unico amore.
– Auguri.
Gli capitava a volte di vederla, ma mai di sentirla parlare; alzò la mano per toccarla, ma era già sparita. Non ne fu rattristato, anzi forse era un poco felice per aver potuto farle gli auguri ancora una volta. Si sentì toccare una spalla da una mano delicata, si voltò e vide il sorriso di Giada. Lasciarono la finestra e si misero a chiacchierare e scherzare.
Quello fu un Natale speciale, in cui un cuore sofferente si riaprì alla vita, in cui un uomo seppe perdonarsi, in cui lo spirito del Natale compì uno dei suoi più grandi miracoli.
***
Racconto inedito di Gianluigi Repetto, autore del volume Bruno e le fate del Natale, realizzato con la collaborazione di Francesca Mazzarello e Sandra Bisiani Martinson, 2016, collana I Gerbilli.
I personaggi e i riferimenti del presente racconto sono del romanzo thriller Troppo bella per me (Puntoacapo Editrice) dello stesso autore.