Last Christmas
Notte tra il 24 e il 25 dicembre 1990.
Nebbia fitta, di quella che bagna ogni cosa, che intride tessuti e legno, rendendoli fradici.
– Non si vede una minchia, stasera. E che ci stiamo a fare qua fuori se non si vede una minchia? – Vincenzo Perrone sbuffò, facendo fatica a distinguere il proprio fiato. – Quanti gradi abbiamo?
Il Primo Aviere Marco Bonetti osservò il termometro della garitta: – Meno cinque.
– Minchia!
Bonetti sbuffò: – Sempre con ‘sta minchia! Perrone, hai rotto i zanetti.
– Pra, non te la prendere: è un modo di dire. Cosa sono i zanetti?
– Sono i maroni, Perrone, le palle! – Si strinse nella giacca termica. – Facciamo un giro?
– Massì, che ci scaldiamo un po’. Sono tutto intirizzito. Da dove partiamo?
– Dalla recinzione. Poi antenne, accessi al bunker, piantoni e, infine, stiamo un po’ davanti agli sfiati di aria calda dei generatori.
I due militari si mossero nell’erba alta che, carica di brina, lucidava i loro anfibi.
– Te ce l’hai la Ministeriale per Capodanno? – Chiese Bonetti.
– Il Colonnello aveva detto che me la faceva avere per Natale, però sono qui.
– Mi sa che me e te siamo i più sfigati del corso. Feste in base. Mo soccia’ che sfiga.
I lampioni, con le loro luci gialle, si intravedevano a malapena lungo la recinzione.
– A te và anche bene, un paio d’ore di treno e sei a casa – riprese Perrone. – Io devo arrivare a Cosenza e prendere la corriera. Se non mi danno cinque giorni, non vale la pena partire; che minchia faccio? Scendo, carico il formaggio e torno sul treno?
– Ma te non avevi una base più vicina?
– Sì, ma dovevano avere il tutto esaurito.
Il ragazzo di Cosenza aumentò il tono della voce e assunse un’aria solenne: – Perrone Vincenzo, la Patria ti chiama! Vai a fare la guardia a due antenne di merda, in quella pianura del cavolo.
Nel buio, seguendo la rete e le luci del perimetro, la ronda riuscì a completare il primo giro di visita ai piantoni.
Bonetti propose: – Già che ci siamo, andiamo a controllare la trasmittente?
– Sei il caporonda, facciamo come ti pare.
Si avviarono lungo un sentiero in terra battuta che nella notte invernale era diventato fango ghiacciato.
Improvvisamente, Bonetti si fermò: – Shhh!
– Che minchia?
– Zitto! Ascolta.
Perrone si immobilizzò: –Non sento niente.
– Zitto, zitto! – Bonetti socchiuse gli occhi, come per affinare l’udito. – Non senti questo rumore?
– No, niente!
– È strano, ritmico, come un tamburo; poi c’è un suono metallico.
– Aspetta. Sì, sento qualcosa: tutum, tutum.
– Chi va là? – Gridò Bonetti, abbassandosi e facendo gesto a Perrone di imitarlo.
Nessuna risposta.
– Adesso si sente più forte. Minchia, viene verso di noi. Che facciamo?
Bonetti estrasse un caricatore dalla giberna, ne stracciò il sigillo piombato e lo inserì nel mitra.
– Ma che cazzo fai? Hai rotto il sigillo. Domattina lo senti il maresciallo.
– Che fa? Mi annulla la licenza? – Tolse la sicura. – Fai come vuoi, ma io non mi faccio fregare: lo sai che i terroristi ammazzano le sentinelle per ciuffargli le armi?
Perrone rimase un attimo silenzioso, poi imitò il compagno: – Fanculo! Sei tu il caporonda: domattina sono cavoli tuoi.
Bonetti chiamò alla radio: – Sala controllo, qui Ronda.
– Avanti, Ronda.
– Qua fuori si sentono un mucchio di rumori strani.
– Strani come?
Il suono aumentò di intensità. Perrone sbarrò gli occhi e indicò in cielo delle luci intermittenti. Sembravano ancora lontane.
– Guarda! Che minchia è?
Alcune luci, intense e cangianti, fluttuavano e viaggiavano verso di loro.
– Ci sono delle luci in cielo e vengono verso di noi. Volano!
– Calma. Sugli schermi non abbiamo nulla. Descrivi queste luci!
Bonetti le fissò, avanzavano sempre più veloci: – Una fila di luci rosse, blu, gialle, verdi e bianche. Si sentono un rumore ritmico come qualcosa di pesante che sbatte e uno più acuto, metallico.
– Sul radar non c’è nulla, ripeto, nulla. Ragazzi, avete esagerato con il cordiale?
– Boia di un giuda! Non riesco a identificare l’oggetto, non so cosa vedete sul radar, ma sta venendo da questa parte e tra un po’ sarà proprio sopra di noi. Allora, poi, ve lo descrivo!
Le luci erano sempre più vicine e il rumore assordante.
– Sarà un UFO? – Gridò Perrone. – Adesso scendono gli alieni e ci rapiscono. Come in quel telefilm… X… Y…
– … e Z! Non so cosa cazzo è questo affare. Io ho dato il “chi va là” e non risponde, si trova su area militare e mi viene incontro. Io sparo!
Imbracciò il mitra e cominciò a sparare, raffiche brevi e rapide.
Perrone ci pensò un attimo, poi lo imitò: – E che minchia!
Dalla radio arrivò un grido: – Che cazzo sta succedendo là fuori? Bonetti, Perrone! Chi che spara? Cosa succede?
Ma i due soldati non sentivano nulla, assordati dalle loro stesse armi.
Le luci sobbalzarono, sembrarono rallentare.
– Dai Vincenzo, spara, che lo fermiamo, ‘sto zavaglio di UFO!
Cambiarono caricatore quasi nello stesso momento e svuotarono anche quello. Il rumore perse il ritmo e le luci parvero cambiare direzione.
Finirono tutti i colpi e l’oggetto luminoso scivolò alla loro destra, velocissimo, in un vortice di vento gelido, sparendo alle loro spalle.
Perrone intuì soltanto che qualcosa stava cadendo dal cielo: – A terra!
Si gettarono nell’erba gelata e un tonfo sordo risuonò poco distante.
Poi fu silenzio.
Un silenzio irreale, mentre la radio continuava a gracchiare: – Perrone. Bonetti. Rispondete!
I due uomini si alzarono lentamente e si diressero verso il punto da dove si levava un filo di fumo denso.
– Se n’è staccato un pezzo – ipotizzò Perrone.
Si ritrovarono davanti al frammento precipitato.
– Ma che cos’è?
– Sembrerebbe un… un coso, lì… come si chiama? Un Capricorno! Ecco!
– Sì, un Saggitario! Ma va là! Non dire stronzate! – Lo rimbrottò il Primo Aviere. – Sembrerebbe…
Perrone sollevò gli occhi sul compagno: – Minchia, Bon, ma a chi abbiamo sparato?
Bonetti scosse la testa, confuso.
Nell’erba, davanti a loro, crivellato di colpi, c’era il cadavere di una renna con una bardatura multicolore e un berretto rosso.
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Secondo racconto natalizio inedito di Michele Rocchetta, autore del romanzo L’ombra del Duce, 2016, collana Narrativa.