Terra verde – Capitolo Uno
Ecco il primo capitolo del romanzo Terra verde di Gian Luca Trovò!
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Capitolo Uno
“Herjolf era figlio di Bardr, a sua volta figlio di Herjolf, ed era imparentato con Ingolf il Colonizzatore. A Herjolf e i suoi Ingolf donò della terra tra Vagr e Reykjanes. Herjolf abitò inizialmente a Drepstokk. […] Herjolf decise di partire per la Groenlandia assieme a Eirik”.
(fonte: Saga dei Groenlandesi – Capitolo I)
Eyrar, Islanda occidentale
Giugno anno 986 d.C.
L’oceano immenso e le terre ancora inesplorate a chissà quanti giorni di navigazione occupavano la mente di Arni. Lo sguardo era fisso verso l’orizzonte mentre il sole vi si immergeva lentamente e la fatica della giornata cominciava a farsi sentire.
Le sue mani impugnavano ancora il martello da lavoro che stava anch’esso godendo di qualche istante di meritato riposo. Un gran frastuono riscosse Arni. Olaf aveva lasciato cadere la legna appena tagliata.
-Ehi, sognatore! Quale terra hai scoperto oggi? – La voce del possente amico lo riscosse.
-Nessuna che esista davvero, ma almeno sognare non ci è ancora impedito.
-Già, hai ragione. Spesso sogno di potermi avventare su un bel pezzo di carne e di ubriacarmi di idromele… Poi invece devo ingoiare gli intrugli di Gudrid se non voglio crepare dalla fame!
-Nonostante i suoi intrugli mi sembri ancora in forze! – ribatté Arni.
I due eruppero in una risata fragorosa.
– Ah, a proposito … non credi sia ora di andare a riempirci lo stomaco? – La proposta di Olaf generò un’ulteriore ondata di buonumore.
Quei momenti di allegria consentivano di sopportare per quanto possibile la loro misera condizione e il loro destino segnato.
Dopo l’ennesima giornata faticosa, riposero gli attrezzi e si diressero come sempre verso la casa dei padroni Hrut e Gudrid. Era la tipica casa normanna, molto lunga e divisa in tre ambienti. La zona centrale, con il focolare, era adibita ad abitazione mentre ai lati stavano la stalla e il fienile.
Arni aveva conosciuto Olaf quando era divenuto schiavo. Era ancora adolescente quando era rimasto orfano. Fino a quel momento aveva vissuto nella Contea di Lade nella regione del Trondelag, in Norvegia. Otto inverni prima, durante una delle temibili incursioni dei guerrieri vichinghi, la famiglia di Arni era stata presa di mira. Gli eventi si erano svolti con una violenza ed una rapidità sconvolgenti. La casa dove Arni viveva insieme ai genitori era stata data alle fiamme. Il numero degli aggressori aveva avuto la meglio anche su un abile guerriero come Ulfrik. Solo Arni era riuscito a scappare. Per giorni si era nascosto ovunque trovasse un riparo sicuro cercando di mettere qualcosa sotto i denti e di fuggire dagli aggressori che continuavano a cercarlo in ogni dove. Con il passare dei giorni, tuttavia, l’inseguimento si era fatto sempre meno pressante. Evidentemente si erano convinti che un ragazzino senza più genitori non sarebbe sopravvissuto a lungo in quel mondo vendicativo e sanguinario.
Gli assassini erano stati presto identificati e accusati di aver compiuto una strage per futili motivi: la spartizione, ritenuta poco equa, del bottino dell’ennesimo saccheggio. Giudicati colpevoli, come da prassi comune dei paesi nordici, erano stati espulsi dalla Norvegia. Il giudizio si era risolto rapidamente, forse troppo.
Ciò induceva a pensare che le motivazioni del gesto brutale fossero ben altre. La fedeltà del valoroso Ulfrik alla causa dello jarl Hakon Sigurdsson non era un mistero. Ciò ne faceva automaticamente un nemico dei seguaci di Harald Pellegrigia, i quali avevano buoni motivi per eliminare un ostacolo sul loro cammino. Arni non poteva certo sapere perché proprio a lui e alla sua famiglia fosse toccato quell’amaro destino. Improvvisamente era divenuto orfano, questa era l’unica certezza. Dopo giorni di fuga, quando pensava di essere ormai salvo, era stato catturato da un mercante di schiavi. In quell’occasione aveva conosciuto Olaf. Tra i due era nata subito una forte amicizia. La comune sventura, d’altronde, spesso consente di creare e rafforzare legami, ed Arni ne aveva un immenso bisogno. Solo quando la sua fuga si era drasticamente fermata, si era reso davvero conto di come la sua vita fosse cambiata in così poco tempo. Fino a quel momento gli eventi avevano preso il sopravvento e non aveva potuto pensare ad altro se non a frapporre più strada possibile fra lui e i suoi inseguitori … questo era stato l’ultimo consiglio della sua povera mamma.
Il ricordo dei suoi lunghi capelli rossi gli riempiva gli occhi di lacrime al pensiero che non l’avrebbe mai più rivista. I pianti di quei giorni erano anche per suo padre che tante cose gli aveva insegnato nonostante i lunghi periodi di assenza da casa per le sue navigazioni e le sue guerre.
Gli altri schiavi che condividevano la sorte di Arni non potevano fare a meno di commuoversi per la sua storia anche se le circostanze per le quali anch’essi erano caduti nella sua stessa condizione erano almeno altrettanto tragiche. A dispetto delle dimensioni gigantesche e della muscolatura impressionante, Olaf, non a caso soprannominato il Grosso, era tra i più sensibili alla disperazione di Arni e aveva da subito provato a rincuorarlo e a fargli percepire la sua vicinanza. Un giorno, dopo mesi di vagabondaggio per i mercati in cerca di compratori, in Norvegia prima e in Islanda poi, Arni e il Grosso erano passati, per pochi soldi, in proprietà a Hrut. Da allora Arni era soprannominato il Norvegese.
Hrut faceva parte della classe media della società vichinga. Era un bondi, un contadino che possedeva una tenuta e un appezzamento di terreno per la coltivazione e l’allevamento proprio sulla costa occidentale dell’Islanda nei pressi del porto di Eyrar. Quando era giovane aveva partecipato, sulle temibili navi da guerra vichinghe, a molte scorrerie normanne nell’Europa: dalle piovose Isole Britanniche fino alle calde terre affacciate sul Mar Mediterraneo. Era anche un abile artigiano del legno e del metallo in grado di costruire navi solide e resistenti ma anche di forgiare armi taglienti.
Ulfrik era un comandante e le sue doti di navigatore erano riconosciute da tutti. Tra le sue truppe regnava una ferrea disciplina. In questo si distingueva molto dagli altri guerrieri assetati solo di gloria, di denaro, di donne, di sangue.
Nel corso di un attacco in Irlanda, isola verde e piovosa, Ulfrik aveva conosciuto Eithne. A seguito del brutale saccheggio dei guerrieri nordici ai danni del suo villaggio, la giovane ragazza irlandese era rimasta orfana dei genitori. Ulfrik era rimasto colpito dalla sua bellezza messa ancor più in evidenza dai capelli lunghi di un rosso accesso e dagli occhi che avevano lo stesso colore della terra in cui era nata. Aveva deciso che l’unico modo di salvarla dalla furia delle truppe incontrollate degli altri capi della spedizione era quello di prenderla con sé e portarla in Norvegia.
Eithne era talmente scossa dai violenti avvenimenti che in pochi istanti l’avevano lasciata sola al mondo, che non aveva opposto nemmeno resistenza. Sembrava che avesse accettato il suo destino con la consapevolezza di non esserne più padrona: si era domandata se il buon Dio l’avesse abbandonata. Nel volgere di pochi mesi dal suo sbarco in Norvegia al seguito di Ulfrik, aveva imparato la lingua degli stranieri venuti dal Nord e si era adattata al diverso stile di vita.
Ben presto il suo atteggiamento nei confronti di Ulfrik era cambiato. Aveva capito che non poteva lasciarsi vincere dallo sconforto. Il sangue irlandese e la fede in Dio gli dicevano che doveva continuare a vivere e, dopotutto, lo straniero che l’aveva portata lontano dalla sua terra natìa sembrava davvero diverso dagli altri normanni. Forse, quel giorno in Irlanda, Ulfrik l’aveva veramente sottratta ad un destino segnato.
La quotidiana convivenza con l’uomo che l’aveva salvata aveva fatto il resto: il matrimonio e la nascita di Arni avevano suggellato il forte legame che si era creato fra loro.
Fino al terribile evento che li aveva separati per sempre, Arni e i suoi genitori erano vissuti serenamente. Nei periodi in cui rimaneva in Norvegia, Ulfrik insegnava al figlio l’arte della navigazione e della guerra. La madre lo educava al rispetto dei popoli e alla pace, principi alla base del cristianesimo, la religione che aveva abbracciato ai tempi in cui aveva vissuto in Irlanda. Nonostante la fede cristiana iniziasse una lenta e complicata diffusione in terra norvegese proprio in quei decenni, il padre di Arni rimaneva fedele agli ancestrali miti nordici come, d’altra parte, la maggioranza dei norvegesi. Era stato re Hakon il Buono a mettere in atto il primo tentativo di introdurre la religione cristiana, alla quale si era convertito durante la permanenza presso la corte del re d’Inghilterra Atelstano. Lo jarl di Lade, dopo averlo aiutato a conquistare il trono, lo aveva supportato anche in questo difficile compito. Le vecchie tradizioni, però, erano troppo radicate nella cultura popolare. Ciò aveva provocato presto una perdita di consensi per il re buono che, alla fine, si era visto costretto a rinunciare ai suoi tentativi e a riconvertirsi al culto dei suoi avi. In attesa della battaglia finale fra dei e uomini, il Ragnarok, dalla quale sarebbe sorto un mondo nuovo dominato dall’amore e dai buoni sentimenti, i normanni veneravano il benevolo Thorr che con la sua forza ed il suo martello, Mjolnir, proteggeva gli uomini dalle forze ostili e dalla magia. Tyr garantiva l’ordine del mondo mentre Baldr rappresentava la rettitudine. Freyr era la divinità della fertilità. E su tutti dominava naturalmente il mutevole e insondabile Odino, il signore del cielo, allo stesso tempo dio dei morti, dio veggente, dio sciamano, dio fondatore, dio della vittoria.
Eithne era naturalmente favorevole alla diffusione della sua stessa religione e rimase delusa quando sembrò che le intenzioni del re fossero nuovamente mutate in senso opposto. A dispetto della fedeltà alla tradizione nordica da parte di Ulfrik, cercava di tramandare i precetti del Cristianesimo almeno a suo figlio.
Arni non poteva che essere molto confuso anche per via della sua giovane età. Finì con l’apprendere concetti e miti da entrambe le religioni anche se le storie di guerra e conquista del padre sollecitavano maggiormente le fantasie di un bambino di quelle terre nordiche. Avendo ben presente il modello e l’esempio di suo padre, sognava spesso di poter solcare i mari al comando di una leggendaria nave vichinga alla ricerca di terre sconosciute. Immaginava di incontrare nuove popolazioni e di stabilire con loro rapporti amichevoli. L’uccisione dei genitori e la successiva cattura subìta avevano sconvolto la sua vita e i suoi sogni. Ora si ritrovava schiavo al servizio di un proprietario terriero in una colonia, nella lontana Islanda. Le sue conoscenze di navigazione, in ogni caso, gli erano servite perché si occupava di riparare e costruire navi per i navigatori che si spingevano alla conquista di nuove terre. In un certo senso, rendeva possibile ad altri la realizzazione dei suoi stessi sogni.
In quel periodo – era il solmanadhr, il mese del sole che iniziava intorno alla metà di giugno – Arni stava eseguendo gli ultimi lavori sulla nave che un certo Herjolf proveniente dalla vicina Drepstokk avrebbe utilizzato al più presto per raggiungere la Groenlandia, la Terra Verde, così battezzata dal suo scopritore, Eirik il Rosso.
Era stato proprio Eirik, ritornato quello stesso anno in Islanda, ad annunciarne la scoperta. Appena sbarcato sull’isola aveva preso ad organizzare l’immediata colonizzazione della sua ultima conquista. Quattro inverni prima Eirik era stato bandito dall’Islanda per un periodo triennale: la sentenza era stata pronunciata nel 982 dal Thing, assemblea tra uomini liberi deputata anche a giudicare in caso di violazione delle regole stabilite. Il conquistatore era stato punito ancora una volta per strage. Per lo stesso motivo era già stato espulso dalla sua terra natìa, la Norvegia. Durante il periodo di forzata lontananza, aveva deciso di verificare le voci secondo cui un navigatore di nome Gunnbjorn avrebbe avvistato delle terre ad ovest dell’Islanda alcune decine di estati prima. Al suo ritorno, una volta scontato il bando, si era vantato di aver effettivamente scoperto una terra verde, ricca di acqua e di arbusti e popolata da molti animali quali uccelli, orsi, caribù, volpi ma anche tanti pesci. Era risultata essere completamente disabitata: ciò l’avrebbe resa perfetta per la colonizzazione.
Le parole di Eirik e le carestie che, negli ultimi anni, sempre più di frequente si erano abbattute sull’Islanda avevano già convinto molti coloni islandesi a tentare la nuova avventura verso la Groenlandia. Herjolf era uno di loro. Aveva venduto tutte le sue proprietà a Hrut in cambio di denaro e della sua nave rimessa in sesto e pronta, ancora una volta, a gonfiare le vele e ad affrontare le onde dell’oceano.
Le lunghe giornate estive sembravano non terminare mai per Arni e Olaf impegnati senza soste nelle riparazioni della nave di Hrut. I tempi di consegna stabiliti con Herjolf erano molto stretti. La partenza per la nuova terra non poteva ritardare molto perché l’estate, più favorevole ai viaggi grazie allo scioglimento dei ghiacci, sarebbe durata solo poche settimane.
Quando Arni aveva saputo della decisione di Herjolf aveva sperato che il suo padrone avrebbe deciso di partire anch’egli per la Terra Verde. Avrebbe potuto finalmente realizzare il suo sogno, seppur come servo, e navigare alla conquista di nuove terre. Il suo padrone era molto scettico sulle informazioni riportate da Eirik che, dopotutto, non era altri che un feroce assassino. Hrut, inoltre, aveva intravisto la possibilità di ottenere dei vantaggi rimanendo nel villaggio di Eyrar, il più importante porto del sud-ovest, luogo di passaggio per mercanti e avventurieri. Le risorse dell’isola sarebbero state a disposizione di un minor numero di islandesi e poi i coloni in partenza avrebbero ceduto le loro proprietà a coloro che avevano deciso di non partire, ingrassandone le casse e il patrimonio. Se negli anni successivi le notizie dalla Groenlandia avessero confermato le aspettative, allora avrebbe ancora avuto il tempo di approntare una nave e partire.
Eyrar, Islanda occidentale
Luglio anno 986 d.C.
La partenza di Herjolf era sempre più vicina. Hrut lo accompagnava quasi ogni giorno a controllare lo stato di avanzamento dei lavori e non perdeva occasione per sollecitare Arni e Olaf ad accelerare i tempi. Nella prima settimana di luglio i due servi, ormai esausti, avevano quasi terminato le riparazioni. Tutte le assi dello scafo erano state legate con fibre nuove e resistenti in modo da conferire alla nave una rinnovata elasticità utile per affrontare al meglio le impetuose onde dell’oceano. Della pece era stata aggiunta soprattutto al fasciame al di sotto della linea di galleggiamento per evitare infiltrazioni d’acqua. Arni si era già occupato di intagliare i remi che avrebbero sostituito quelli originali ormai inutilizzabili.
Restava ancora da assicurare al fianco destro verso poppa il nuovo timone, in quercia, e poi da issare sull’albero la grande vela quadrata a scacchi bianchi e rossi. Questa era stata preparata dalle tessitrici al servizio di Hrut. A metà luglio la nave era ormai pronta a salpare. Dopo anni di riposo, con l’immancabile testa a forma di drago sulla punta della prua, stava per intraprendere l’ennesima avventura ai comandi di Herjolf, verso la Terra Verde.
Mancavano pochi giorni alla fine del mese di luglio, segno che la breve estate islandese volgeva ormai al termine. A metà agosto, infatti, il ghiaccio avrebbe cominciato nuovamente ad avanzare ed avrebbe reso praticamente impossibile un viaggio già di per sé rischioso. Eirik si riteneva soddisfatto. Molti islandesi, attirati dalle sue allettanti descrizioni, avevano deciso di seguirlo: almeno trenta navi erano pronte per partire verso la colonizzazione della Groenlandia.
Quel mattino di fine luglio, la costa occidentale dell’Islanda era costellata di navi cariche di viveri, di uomini, di donne, di bambini e di tante speranze per il futuro. Le ultime operazioni di carico erano ormai terminate e alcune navi cominciavano a mollare gli ormeggi e ad aprire le grandi vele quadrate. Grazie alla spinta fornita dai rematori, le lunghe e slanciate imbarcazioni da guerra presero la via del mare più rapidamente. Seguivano le tozze e pesanti knarr, senza remi e cariche fino all’inverosimile, che si avviavano con maggiori difficoltà.
Il sole che cominciava a salire nel cielo illuminava la scena della partenza e infondeva calore e ottimismo nei cuori dei colonizzatori. Sulla costa, gli islandesi rimasti osservavano i partenti con sentimenti diversi. Alcuni avrebbero voluto far parte della spedizione ma non erano riusciti a procurarsi una nave o a trovare posto su quella di altri. Altri stavano salutando i loro parenti sperando di raggiungerli l’estate successiva. Altri ancora non si fidavano di Eirik il Rosso ed avevano deciso di non partire e di attendere notizie più sicure e precise.
Anche gli occhi verdi di Arni erano puntati verso le navi che diventavano sempre più piccole fino a scomparire dietro l’orizzonte. La delusione per la mancata partenza di Hrut non faceva che aumentare la nostalgia per una vita avventurosa che avrebbe voluto fare ma che, data la sua condizione, forse non avrebbe mai potuto sperimentare.
– Ci saranno altre occasioni … e magari questa Terra Verde non è neppure così bella come ci vuol far credere quel pazzo dai capelli rossi – il Grosso sembrò, come sempre, aver letto nel pensiero dell’amico.
– Forse hai ragione. È più forte di me, sembra che il mio destino sia sognare quello che non potrò mai avere.
– Non mollare proprio adesso. Tu stesso mi ricordi quasi ogni giorno che bisogna sempre avere fiducia e sperare che le cose possano finalmente cambiare in meglio.
– Mio padre e mia madre mi hanno insegnato a non mollare mai e ad avere speranza. Ogni giorno che passa, però, mi sembra sempre più difficile farlo.
– Ehi, voi due! È ora di tornare al lavoro! – la voce rauca di Hrut interruppe i loro discorsi.
Era tempo di ritornare alla dura realtà. I lavori sulla nave di Herjolf erano terminati ma per un servo c’era sempre qualcosa da fare, ogni giorno … per tutta la vita.