Uniti per vincere – La notizia
Ecco il primo capitolo del romanzo Uniti per vincere di Osvaldo Agostani!
Puoi sostenere questo progetto fino a mercoledì 20 novembre!
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Capitolo uno. La notizia
Sono le undici di mattina quando il telefono della linea riservata inizia a squillare. Sulla mia scrivania ci sono due telefoni: il normale duplex azzurro di servizio, con due bottoni, e uno nero, più piccolo, che è una linea diretta, con un numero che non dovrebbe conoscere quasi nessuno. In realtà l’ho dato anche a qualche amico, per evitare che certi discorsi personali possano essere filtrati dalla mia segretaria; intendiamoci, non credo proprio che Sonia stia a orecchiare le conversazioni telefoniche, ma ogni tanto è utile avere un po’ di privacy.
«Buongiorno, ho pensato che fosse giusto comunicarle personalmente la notizia, – inizia l’Amministratore Delegato, con cui ci diamo ancora del lei nonostante lavoriamo in una multinazionale americana dove tutti si danno del tu, – dati i nostri cordiali rapporti.»
Oilà, se Rocca si prende il disturbo di chiamarmi direttamente, ci dev’essere qualche bella sorpresa.
«Domani, qui a Oggiono, si terrà una riunione straordinaria in cui si annunceranno le mie dimissioni.»
Sono sbalordito!
«Diranno le solite banalità, – continua, – mi faranno i complimenti per il lavoro svolto in questi tre anni, assicureranno che la mia competenza è indispensabile per la compagnia in settori chiave, e cose del genere; perciò mi promuovono a Super Direttore Europeo dello Sviluppo, un ruolo assolutamente fantasma, inventato per l’occasione.»
«Ma perché? Così all’improvviso…»
La voce di Rocca è amara. «Devono promuovere Capitani. Qualche giorno fa aveva rassegnato le dimissioni. Così l’hanno convocato d’urgenza presso la sede centrale di Londra e gli hanno chiesto cosa potessero fare per trattenerlo. E lui… ha semplicemente voluto il mio posto.»
Adesso comincio a capire.
Quattro giorni fa Gigi, il Direttore Acquisti, era entrato nel mio ufficio con aria furbetta e aveva annunciato: «Vuoi una notizia? Mario ha dato le dimissioni!»
«Chi, Capitani?»
«Sì.»
«Ma come? Sembrava che andasse alla grande.»
«Eh… avrà trovato qualcosa di meglio.»
Mario Capitani è il direttore industriale di Nibionno, la principale delle due fabbriche italiane della White & Rocket, il vice di Rocca. Ha quarant’anni ed è nella compagnia da meno di due. Ingegnere, con grande personalità, ottimo inglese, e buone conoscenze tecniche e gestionali.
«A me hanno anche offerto la direzione del nuovo stabilimento di Singapore, – continua Rocca, – ma ci pensa?»
«Be’, tutto sommato potrebbe essere un’esperienza interessante.»
«Ma figuriamoci! Quale esperienza? Non a cinquant’anni. La mia famiglia è ormai troppo legata a Milano. Non così, dalla sera alla mattina.»
Questo è il mondo delle multinazionali, un mondo arido, privo di riconoscenza e di valori umani.
Poco prima di pranzo, Sonia entra nel mio ufficio con la sua presenza femminile e professionale, accompagnata da un gradevole profumo discreto che si muove nell’aria con la leggerezza del suo vestito di seta, e mi consegna una comunicazione urgente: sono convocato a Oggiono il giorno successivo alle ore 14 per una riunione straordinaria di tutti i dirigenti della White & Rocket italiana. “Importanti comunicazioni. Dirige il Vice Presidente europeo David Thomson”.
Non ho niente da preparare, conosco già il motivo della riunione. Ho davanti a me un pomeriggio come gli altri.
L’indomani, alle 13,30, entro con la mia Alfa Romeo 164 blu dalla porta carraia nel vecchio stabilimento di Oggiono, dove, oltre a qualche residuo reparto secondario e alcuni magazzini, ci sono gli uffici direzionali, la logistica, l’amministrazione e la ricerca e sviluppo.
Il viaggio è stato come sempre infernale, ma mi ha offerto cinque ore di guida solitaria in autostrada per riflettere.
Ho ripercorso tutta la mia carriera degli ultimi otto anni, in gran parte trascorsa collaborando con Pietro Rocca. Un anno e mezzo fa, l’avevo ritrovato Amministratore Delegato della divisione italiana della White & Rocket. Prima di offrirmi il posto di Direttore Generale a Perugia, mi aveva chiesto di condurre, come consulente in produzione a Nibionno, cinque progetti di cambi rapidi sulle macchine e sugli impianti.
In quell’occasione avevo conosciuto Mario Capitani, neo assunto, che, dopo un inizio collaborativo, mi aveva tolto quasi tutte le risorse.
Giovan Battista Piazza è il primo che incontro appena esco dall’ascensore al terzo piano. Gigantesco ex campione di canottaggio, peserà 120 chili, ha le mani grandi come pale di remi e la tendenza a usarle come morse. È il direttore di produzione di Nibionno.
«Ehilà, chi si vede! Come stai? Anche tu convocato per l’avvenimento?» esclama con un vocione da compagnone, allungando la mano con l’intento di stritolare la mia.
Questa volta, però, non mi faccio sorprendere.
«Vecchio pirata, sempre in gran forma vedo.»
«Sicuro, sicuro, mai stato meglio! Tu piuttosto, hai fatto buon viaggio?»
«Sai com’è, cinque ore, un tormento.»
«E giù a Perugia? Sento che state facendo faville.»
Lo guardo un po’ dubbioso. Mi sta forse prendendo in giro? Cos’è questa ammirazione? Lo sanno tutti che abbiamo parecchi problemi.
«Mah, sai, i risultati non sono ancora evidenti, però qualcosa si muove.»
«So tutto, so tutto, – confida con uno sguardo d’intesa, – la tua presenza si sta già facendo sentire.»
Sì, penso proprio che mi stia prendendo in giro. Tutti qui hanno un’aria di superiorità verso di noi: la grande azienda organizzata del nord e la piccola unità di periferia.
Abbozzo un mezzo sorriso e passo veloce oltre, deciso a entrare in anticipo nella sala riunioni per scegliere un posto opportuno: non troppo defilato, ma nemmeno in vista. Un posto decente ma riservato.
In sala, però, c’è Camillucci, il direttore del personale, che sta sistemando alcuni documenti.
Se c’è uno che mi ispira immediatamente un senso di ripugnanza, è proprio Camillucci. Appena lo vedo. Quando sento la sua voce al telefono. È come quando d’estate l’odore di frittura del ristorante vicino entra dalla finestra aperta mentre cerchi un po’ d’aria fresca.
«Andreani, ho letto ieri il comunicato che lei ha reso noto al Consiglio di Fabbrica della sua azienda per il solito rapporto d’autunno.»
Nessun saluto, nessuna frase amichevole. Camillucci vuol essere scortese nei fatti, mentre con le parole è estremamente misurato, come il mezzo libanese che è.
«Una cosa non ho capito bene e mi piacerebbe che me la spiegasse: perché ha usato il termine congiunturale quando ha comunicato al Consiglio di Fabbrica il blocco dell’avvicendamento del personale?»
«Prego?»
«Sì, lei ha comunicato ufficialmente che la Compagnia blocca il rimpiazzo di coloro che se ne vanno in questo periodo, per motivi congiunturali. Questo è inappropriato e genera malumori e preoccupazioni. Noi non vogliamo fastidi sindacali. La Compagnia l’ha mandata a Perugia per migliorare le condizioni dell’azienda e questo può diventare difficile se il sindacato le gioca contro.»
«Senta, Camillucci, non so proprio di cosa stia parlando. È stato chiesto perché da un paio di mesi non sostituiamo coloro che se ne vanno; il motivo è chiaro per tutti: sono calati i volumi di produzione a causa di una congiuntura negativa nell’economia italiana ed europea. Anche negli USA le cose ristagnano. In questo quadro, gli organici si devono ridurre; particolarmente quelli dei diretti. La sostituzione del personale è la prima cosa che si blocca in questi casi.»
«Ma non dica congiunturale! Lei usa impropriamente la terminologia sindacale. Così pensano che sia un problema strutturale, che la Compagnia voglia ridurre gli organici, e che sia in atto una manovra contro Perugia.»
«Ma che dice? È proprio il contrario, semmai! Egregio signor Camillucci, nella lingua italiana, congiunturale significa che dipende dalla congiuntura e quindi termina quando il periodo negativo passa. Forse è lei, che ha studiato all’estero, che qualche volta adopera impropriamente i termini linguistici.» L’allusione a presunti studi all’estero è un colpo basso per uno che è risaputo avere una cultura di dubbia provenienza. So che Camillucci è piuttosto sensibile a questo: ha fatto carriera nella Compagnia grazie a intrallazzi, raggiungendo vertici elevatissimi, e adesso è consulente nel ruolo vacante di direttore del personale. Gira voce che sia stato richiamato in servizio un anno fa dalla pensione per fare del lavoro sporco. Ma non è ben chiaro di cosa si tratti. Certo che è temutissimo da tutti, anche da Rocca, perché parla direttamente con gli americani (e parla come un serpente). E fa di tutto per essere antipatico.
«No, no, Andreani – adesso il suo tono è tagliente – si sbaglia di grosso e glielo dice uno che in fatto di terminologia sindacale ci ha speso una vita. La lingua italiana è una cosa, quello che si ‘trasmette’, e si intende, con l’uso di certi termini è un’altra faccenda. Per il sindacato, congiuntura significa stato di crisi, che è proprio ciò che non vogliamo dire. Lei sarà anche un buon ingegnere se l’hanno inviata come Direttore Generale a Perugia, ma lasci che le dica che in questo caso mi è apparso piuttosto inesperto. Adesso vedrò di riaggiustare io la faccenda.»
E mi gira le spalle, finendo di sistemare i suoi documenti. Mi sale l’adrenalina. Sto per reagire a modo mio, quando sento: «Luca!»
Entrano sorridenti e cordialissimi Bellini e Marinelli, uno Direttore della Qualità e l’altro della Ricerca e Sviluppo. Solite strette di mano, soliti commenti artificiali. Fuori, voci e rumori di altri che stanno arrivando. Sono le 13,55. È veramente un pomeriggio esaltante!
13,59. Entra Thomson, seguito da vicino da Rocca. Subito dopo arrivano Mike Wilson, l’esperto di produzione della Compagnia, Paul Peterson, degli acquisti centrali, e Steve Allison, il controller di gruppo: i tre cavalieri dell’apocalisse (che con Thomson fanno i quattro dell’apocalisse). Per ultimo entra Mario Capitani. Nella sala regna un silenzio assoluto.
«Good afternoon.» Thomson apre la riunione, entrando subito nel vivo dell’argomento senza preamboli, in puro stile anglosassone.
«Ho il piacere di comunicarvi che l’ingegner Rocca è stato nominato – (ha il buon gusto di non dire promosso) – Direttore Europeo dello Sviluppo e si interesserà dei progetti speciali della Compagnia in ambito continentale.»
È interessante notare come nelle multinazionali quando uno viene giubilato assume sempre un incarico nei “progetti speciali”. Ma in questo momento nessuno sorride, neanche i nemici di Rocca. Tutti si rendono conto della drammaticità della situazione e ciascuno sta pensando che prima o poi potrebbe accadere anche a sé stesso.
«L’ingegner Rocca ha condotto la divisione italiana in modo egregio negli ultimi tre anni, aumentando la stima della Compagnia nei confronti di tutti i componenti italiani dell’organizzazione. Oggi il comando passa nelle mani dell’ingegner Capitani, che ha contribuito mirabilmente al successo con un enorme lavoro. – dice esattamente “fantastic success”, “tremendous job” – Noi confidiamo che l’appoggio e la collaborazione di tutti continuino come in passato a sostenere la nuova gestione.» Punto.
Prende poi la parola Rocca, che si congratula con tutti per il buon lavoro svolto e l’appoggio ricevuto, e conclude augurando futuri successi a noi e al suo successore. Dal suo tono non trapela nemmeno un po’ di commozione: si è preparato bene. È sempre un grande navigatore! Chiude la breve riunione Mario Capitani che, in tono molto sfumato, prende contatto con noi non più come collega ma come capo, chiedendo di tenerci subito disponibili per colloqui privati nello stesso pomeriggio, per definire le prime strategie operative.
«In particolare tu Luca, – dice, facendomi trasalire sorpreso, – avrei piacere di sentirti prima che ritorni a Perugia. Potresti venire nel mio ufficio subito, appena termina questa riunione?»
Al tavolo della presidenza Rocca e Thomson stanno parlando fra loro, Capitani ha bloccato Marinelli in un angolo. Noi scivoliamo via con rispettosi saluti a mezza voce.
Sono appena le 14,45.
Mario occupa ancora, ovviamente, il piccolo ufficio accanto a quello del Direttore Generale e Amministratore Delegato. Mi accoglie con simpatia. Con troppa simpatia. Un atteggiamento che non aveva mostrato negli incontri ufficiali e personali degli ultimi tre mesi.
«Luca! Come posso esserti d’aiuto?»
Mi tende la mano con un radioso sorriso, come se fossimo amici da sempre. Francamente non mi aspettavo un simile esordio, e non avevo preparato nessun argomento per l’occasione.
Cerco di assumere un certo controllo della situazione, ben consapevole che mi gioco i prossimi mesi di relazioni con il mio nuovo capo.
«Guarda, non è più un collega, diciamo pure in qualche modo un concorrente, che ti sta di fronte ora, – continua Mario, – ma un amico, un vero amico, neanche un capo. È chiaro? Sono molto ammirato dalle iniziative che hai intrapreso a Perugia. Sicuramente quell’unità produttiva avrà un grosso successo. E io voglio fare tutto quello che posso per garantire che questo successo arrivi e presto.»
«Mario sono veramente lieto di sentirti parlare così. Già abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto (!?), ma ora…»
«Luca, – interviene Mario, sporgendosi verso di me attraverso la scrivania, con tono improvvisamente serio e deciso, – chiariamo subito che qui non c’è più Rocca. Adesso c’è uno che capisce veramente le cose, che sa e vuole prendere le decisioni. Quello parlava, prometteva, a volte senza neanche sapere cosa, e poi ricordiamo benissimo in che difficoltà metteva noi della produzione. Ora è diverso, caro Luca, io vengo dalla produzione come te e ti assicuro che sosterrò sempre le necessità dei produttivi, perché è da lì che nasce il risultato.»
«Bene, Mario, dovrei forse chiederti qualche investimento, ma non ritengo che sia questa la sede e nemmeno il momento.» Annuisce sorridendo.
«Ti chiedo per ora di coprirmi un po’ le spalle: come hai detto, stiamo facendo grossi sforzi per migliorare una situazione che dir tragica è ancora poco.»
Continua ad annuire, mentre proseguo: «Io so, noi sappiamo, che le cose stanno cambiando, ma i primi risultati non si vedranno che fra parecchio tempo, mesi ancora, e noi a Perugia abbiamo bisogno di un po’ di tranquillità, di operare serenamente senza l’assillo di qualche richiesta pressante. Sai come fanno questi inglesi: vengono ogni tre mesi, e se non presenti dei rapporti soddisfacenti ti mettono in croce. Ma noi siamo un gruppo di manager nuovi e sarebbe auspicabile che non venissimo valutati prima dell’anno prossimo».
«Ma sicuro. Ma certamente. A questo penso io, sta tranquillo. Ti copro io le spalle. Tu lavora sereno, continua così. E per ogni evenienza, qualsiasi cosa ti occorra, QUALSIASI, interpellami subito. Ti do un canale preferenziale, ok? Questo telefono è sempre libero per te.»
Batte una mano sul suo telefono segreto.
«Grazie Mario. Grazie di cuore, anche a nome dei miei che informerò domani di ciò che ci siamo detti. Servirà a infondere in loro ulteriore fiducia.»
Sorride. Ha veramente un tono che conquista.
Si alza, gira intorno alla scrivania e mi allunga la mano nel modo più cordiale che gli abbia mai visto.
L’ufficio di Rocca è a pochi metri da quello di Mario. Appena esco, Barbara, la sua segretaria, mi vede e mi chiama subito: «Ingegner Andreani, l’ingegner Rocca la vuole vedere». Entro nel suo ufficio e lui si alza per venirmi incontro.
«Che piacere rivederla, anche se in un momento difficile per me.»
«Mi spiace tanto, davvero, per quello che sta accadendo. Mi sembra ancora tutto un po’ inverosimile.»
«Eh, invece è vero. È vero purtroppo. Ma non parliamo di questo adesso. Le ho chiesto di entrare perché avrei bisogno di dirle alcune cose. Ma non ora, – aggiunge vedendomi in attesa, -quanto si trattiene?»
«Be’, sono le quattro… ho un paio di cose da sbrigare giù in Ricerca e Sviluppo. Diciamo che mi libero verso le cinque e mezza e ritorno da lei. Va bene? Oppure domattina?»
«No, no, domattina io qui non ci sarò più. Faccio fagotto immediatamente. Va bene alle diciassette e trenta, ma non qui… conosce qualche posto fuori… un posto tranquillo?»
Caspita. Che discorsi sono? Ci penso un attimo e poi decido: «Sa arrivare a Malgrate, sul lago?»
Annuisce.
«Al secondo semaforo, giri a sinistra, verso il lago. Quando arriva sulla statale rivierasca, proprio sull’angolo, a destra troverà un piccolo bar, Il Porticciolo, la aspetto là. È un posto abbastanza riservato.»
Mi stringe la mano con affetto: «Ci vediamo là alle cinque e mezza».
Il porto di Malgrate, insieme a Pescarenico, è uno dei luoghi più pittoreschi di Lecco. Le case intorno sono tutte variopinte. Bar, ristoranti, boutiques si affacciano sulla stretta strada costiera che scende a sinistra dalla rocca. Ma è soprattutto la vista di Lecco che si apre al di là del lago a incantare. Oggi, poi, la giornata limpida offre uno di quei rari tramonti d’autunno, con il monte Resegone che si tinge di rosa. Amo la mia città. Di tanto in tanto la durezza di carattere dei miei concittadini mi fa desiderare di sparire lontano per sempre. Ma quando, di ritorno da una lunga assenza, dopo l’ultima curva, rivedo le case sulla riva del lago circondate dalla conca dei monti che sembrano precipitarvi sopra, non posso fare a meno di sentirmi a casa. Il Porticciolo è un bar simpatico, un po’ demodé, con timoni, ancore e derive appese qua e là alle pareti, simulando una marineria che qui sul lago è sicuramente inesistente. Tuttavia, è tutto rivestito di legno, caldo e soprattutto intimo.
Seduto a un tavolino d’angolo, vedo Rocca fare capolino all’ingresso.
Si guarda intorno e mi nota subito, dirigendosi verso di me.
«Bel posto!»
«Sì, in realtà è più adatto alle coppiette estive, ma in questa stagione è quasi deserto, quindi credo che vada benissimo per noi. Che prendiamo?»
«Mah, non saprei… di solito cosa offre la casa?»
«Dato l’orario forse un bel tè sarebbe indicato, altrimenti si potrebbe provare anche un’Alba Tragica.»
«Una che?»
«Alba Tragica:è un’invenzione del matto che gestisce il posto qui; d’estate è frequentato fino a notte inoltrata e così, a volte, sul tardi, si bevono misture un po’ strane; in questo caso sarebbe 50% di pompelmo, un terzo di gin, un sesto di blu Curaçao e, alla fine, un dito di champagne direttamente nella coppa.»
«Che?? No, no, a quest’ora meglio il tè!»
Sorrido.
«Sono d’accordo. Dicevo così per dire, nel caso avessimo voluto affogare quel po’ di tristezza che ci sentiamo addosso.»
Per un attimo nessuno parla.
Rompe il silenzio il gestore, che ci domanda cosa vogliamo.
Due tè vanno benissimo.
Il tipo strano si allontana annoiato.
«Senta Andreani, ho voluto che venissimo qui perché ho una cosa importantissima da dirle e della massima gravità per lei. La fabbrica di Perugia verrà chiusa.»
Ha parlato tutto d’un fiato, come per togliersi un peso imbarazzante. Ci metto qualche secondo a realizzare, ma dentro di me il tempo sembra rallentare.
«La cosa è segretissima; è nota solo alla Direzione Generale Europea e ai pochissimi qui a Oggiono che si devono interessare dell’implementazione del piano.»
«Ma come… solo quindici giorni fa siete venuti a Perugia, avete visto i nostri progetti di miglioramento e li avete apprezzati… anche Thomson ha detto cose positive.»
«Non si lasci ingannare, i giochi erano già fatti. Non potevamo non venire per la solita verifica trimestrale senza destare sospetti. Inoltre, era il momento giusto per rivedere alcuni aspetti del piano, come ad esempio la linea di produzione della TGS.»
«Da quando è in corso questo piano? Quando è stata presa la decisione finale? Dopotutto, mi avete assunto solo pochi mesi fa, ho iniziato a maggio.»
Rocca sembra visibilmente imbarazzato: mi ha offerto il posto di Direttore Generale, è venuto più volte a Perugia per organizzare il piano dell’anno prossimo, mi ha posto obiettivi e li ha approvati… eppure sapeva che tutto era già deciso.
Avevamo lavorato insieme più volte in passato, in diverse aziende, e ora sembrava che avesse tramato alle mie spalle!
«Capisco cosa sta pensando, ma creda, è stata una decisione repentina. Hanno iniziato a discuterne ad agosto, e il piano si è concretizzato a settembre. L’approvazione finale risale a poche settimane fa. Quando l’ho assunta in primavera, non avevo idea di cosa stesse per accadere, anch’io credevo davvero che si volesse rilanciare l’azienda, e, in tal caso, nessuno meglio di lei sarebbe stato capace di affrontare la situazione critica che ha trovato.»
Fingo di crederci. Ormai, che differenza può fare? Lui è fuori gioco per sempre e, probabilmente, non avremo mai più l’opportunità di lavorare insieme. Forse dopo stasera non ci vedremo nemmeno più. Tuttavia, sono determinato a capire meglio le motivazioni e, se possibile, le strategie e i tempi del piano.
Rocca sembra un po’ più rilassato, come se si fosse tolto un gran peso dal cuore.
«La verità è che la sua fabbrica ha avuto risultati disastrosi negli ultimi due, anzi tre anni. Lo scorso anno ha perso qualcosa come tre miliardi e mezzo di lire, su un fatturato di cinquanta. E veniva da un altro disastro ancor più grave. È stato da lì che avevano deciso di rimuovere il Direttore Generale Franchini. Ricorda che ne avevamo parlato l’anno scorso?»
Già.
«Poi è arrivato il successo di Capitani e dello stabilimento di Nibionno. Come avrà capito, anche Nibionno era in difficoltà alla fine dello scorso anno. Ma grazie al nostro lavoro, la situazione si è rovesciata: invece di chiudere Nibionno si è deciso di potenziarlo. Si rinforza Nibionno con l’effetto volume, migliorando i costi generali grazie al trasferimento delle produzioni di Perugia al nord. La sua fabbrica è in condizioni talmente disastrose che ormai nessuno crede sia possibile salvarla.»
«Ma quanto tempo ci vorrà per la chiusura definitiva?»
«Il piano prevede che la chiusura avvenga il primo di Ottobre dell’anno prossimo.»
Meno di undici mesi!
«Be’, naturalmente ci saranno degli strascichi, – continua Rocca, – nessuno si aspetta che in una regione industrialmente povera come l’Umbria, con un forte partito comunista, la situazione si risolva senza conflitti. Ci saranno lotte sindacali, interventi della regione e anche del governo, nel tentativo di far cambiare idea, o, quanto meno, di mitigare il disastro sociale. Purtroppo quell’azienda è una delle poche di rilievo nella provincia di Perugia, e i disoccupati avranno difficoltà a trovare alternative.»
All’improvviso mi vengono in mente le persone che lavorano a Perugia, che ancora non conosco bene. Per me sarà un problema trovare un nuovo impiego (ma in circa un anno…), per loro invece sarà un vero disastro.
«Intendono trasferire a Nibionno i prodotti più interessanti, – la voce di Rocca mi giunge lontana, – insieme a macchinari, strutture e tecnici qualificati. Successivamente, venderanno i capannoni e i terreni, facendo un grosso affare, dato che l’area è destinata a uno sviluppo urbano e commerciale. Presto inizieranno a venire da voi i tecnici di Nibionno, con la scusa di aiutarvi nel rilancio, di creare sinergia, come si dirà, ma in realtà vorranno studiare come costruite i vostri prodotti, analizzare disegni e distinte base [1], attrezzature, processi e fornitori.»
«Ma noi siamo un’azienda di circa dodicimila metri quadrati coperti. Anche se ammettiamo che una parte di questi spazi sia mal utilizzata: cattiva organizzazione dei reparti, enormi eccedenze di materiali, macchine antiquate. Dove sono almeno otto, novemila metri quadri disponibili a Nibionno?»
«Non s’inganni, Nibionno sta liberando settemila metri quadri grazie alla nuova organizzazione a flussi lineari: tutta la produzione ora procede in modo continuo come se fosse su una grande linea di montaggio; abbiamo eliminato le vecchie aree tecnologiche della meccanica e del reparto elettrico. Questo spazio sarà disponibile già in primavera. Inoltre, parte dei semilavorati verrà esternalizzata a piccole fabbriche locali che ci forniranno i particolari intermedi.»
«Davvero, Rocca, crede che non ci sia più speranza?»
«Mi dispiace, – abbassa la testa, – quando le multinazionali americane prendono queste decisioni, vanno sempre fino in fondo. Non c’è niente che possa cambiare i loro piani.»
Il silenzio si è fatto pesante adesso. Io guardo fuori ma non penso a niente: il mio cervello si è bloccato. Rocca ha già detto anche troppo. Poi prende una cartella che non avevo quasi notato, la apre e ne estrae una busta.
«Questo almeno glielo devo!» dice, porgendomi la busta.
Lo guardo incerto…
«Sono i piani segreti dell’operazione. C’è tutto qui dentro. Al diavolo la deontologia e tutte le altre scemenze! Non è perché mi fanno fuori. La prenda e ci studi sopra. Almeno saprà come si muovono. Fino a quando non cambieranno i loro piani.»
«Grazie.»
«Faccia il possibile. Ha ancora un po’ di tempo.»
Non abbiamo nemmeno bevuto il tè. Anzi non ci siamo neanche accorti che il matto ce l’ha servito. Mi alzo per pagare, ma Rocca mi precede di scatto. Sulla porta una breve stretta di mano. Poi io a destra e lui a sinistra. Lecco davanti a noi sembra un prato di lucciole in una notte nera.
[1] elenchi che descrivono tutti gli elementi necessari per la realizzazione di un prodotto