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Sentenze Stato-mafia, da Andreotti a Berlusconi

La sentenza di Palermo sulla trattativa tra Stato e mafia chiude il cerchio, ma attenzione alle suggestioni

di Giampaolo Grassi 

C’è un esercizio che non andrebbe mai fatto. È quello di ricostruire la Storia basandosi solo sul frutto del lavoro dei tribunali. Facciamolo lo stesso. Il verdetto della Corte d’Assise di Palermo del 20 aprile 2018 (le motivazioni sono state depositate lo scorso 19 lugliosulla trattativa Stato-mafia offre un’occasione troppo suggestiva per lasciarsela scappare. ‎Perché quello che racconta, cioè l’accordo stretto a inizio anni ’90 fra rappresentanti delle istituzioni e boss mafiosi, si incastona benissimo in quanto già sancito da sentenze di Cassazione, si inserisce cioè perfettamente fra gli “amichevoli rapporti” coltivati da Giulio Andreotti con i boss fino al 1980 e la “protezione” pagata alla mafia da Silvio Berlusconi dal 1974 al 1992, prima cioè del suo impegno politico.

Che uomini simbolo dello Stato abbiano avuto a che fare con la mafia è infatti un dato certo è “datato”, non è una novità della sentenza sulla trattativa. Anzi, di acclarato c’è anche di più: e cioè che nel 1994 la mafia votò Forza Italia. Quello che mancava finora era il racconto di cosa successe nel lasso temporale compreso fra l’anno in cui Berlusconi smise di pagare la mafia, il 1992, e quello in cui la mafia votò per il suo partito, il 1994. La sentenza sulla trattativa colma questo buco, spiegando che, in quel periodo, Marcello Dell’Utri ricevette dai boss l’incarico di ricattare Berlusconi: se il suo “nascituro” governo non fosse stato accomodante con Cosa nostra, Cosa nostra avrebbe continuato con le stragi, dopo quelle di Capaci, via D’Amelio, Firenze, Roma e Milano.

Lo sventurato rispose? Pare di sì, nel senso che la sentenza sulla trattativa dice che i pagamenti di Berlusconi alla mafia proseguirono fino al dicembre del 1994, quando il Cavaliere era già a Palazzo Chigi. E poi individua l’influenza mafiosa in uno dei primi provvedimenti del governo Berlusconi, un decreto legge del luglio 1994 in tema di misure cautelari, che poi ebbe vita piuttosto travagliata. Dilettandosi dunque in un esercizio che non andrebbe mai fatto, si può dire che, in tema di rapporti fra Stato e mafia, le sentenze tracciano una linea storica senza interruzioni dalla Prima Repubblica, quando a rappresentare le istituzioni c’era Giulio Andreotti, fino alla Seconda Repubblica, con Berlusconi che, fra alti e bassi, ha mantenuto il potere fino al 2011. La trama c’è tutta, quindi.

Però attenzione: al di là del non sempre facile rapporto fra verità giudiziaria e verità storica, altre considerazioni mettono in guardia dal dare troppo credito alle suggestioni. La principale è che quella sulla trattativa è una sentenza di primo grado, e l’esperienza insegna che in Appello e Cassazione non sono affatto esclusi ribaltamenti e rivisitazioni. L’altra riguarda lo stesso procedimento sulla trattativa. Dall’inchiesta sono nati due processi che, in prima battuta, hanno avuto esiti opposti. Quello “principale”, con rito ordinario, ha portato alle condanne ‎per il patto Stato-mafia, mentre l’altro, con rito abbreviato, si è chiuso con l’assoluzione dell’ex ministro Calogero Mannino‎ che, secondo l’accusa, avrebbe ispirato quel patto.

Insomma, scrivere la Storia con le sentenze è un azzardo. Scriverla con sentenze non definitive lo è ancora di più. Si può fare, purché sia chiaro che si lavora nel campo delle suggestioni.

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Giampaolo Grassi ha pubblicato ad aprile il volume Commedianti. Andreotti, Berlusconi e la mafia(collana Saggi) che ripercorre le verità giudiziarie sui rapporti tra pezzi delle istituzioni e boss mafiosi, fino alla sentenza del 20 aprile 2018. Grassi è giornalista dell’Ansa; per dieci anni ha seguito la cronaca giudiziaria a Firenze, dove sono in corso le indagini sui concorrenti esterni a Cosa nostra nelle stragi del 1993-1994. Dal 2016 si occupa di economia e finanza, a Milano. Nel 2005, insieme al giornalista parlamentare Fausto Pettinelli, ha scritto Lando Ferretti il giornalista di Mussolini, edito da Bandecchi e Vivaldi. Nel 2015 ha pubblicato Processo alla Trattativa. Stato-mafia: tre procure, tre verità, Pagliai Editore.