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Jin-Be Jin-Be

Miti, credenze, leggende. A volte l’immaginazione si intreccia con la realtà e ne vengono fuori racconti belli e divertenti. Tutto questo potrebbe piacere a chi si occupa di favole per bambini. Io, invece, non inseguo fantasie, ma solo fatti reali. Da vero scienziato, io mi baso solamente su reperti scientifici. E siccome il mio lavoro è il paleoantropologo, cioè lo studioso degli uomini vissuti nel lontanissimo passato della nostra civiltà, mi interesso dei resti di ominidi, cioè degli antenati umani.

Lo avrete capito, sono nientemeno che il famosissimo Nunzio De Bufala, lo scopritore dell’Homo Curvus. Sì, proprio quel primitivo che amava la natura molto più di noi, ricercava la pace e l’armonia della propria tribù e cercava di condividere le proprie importanti scoperte, come il fuoco e il linguaggio, con le altre specie, più prepotenti e presuntuose, come l’Homo Erectus e l’Homo Sapiens.

Ma veniamo ai fatti che ho ricostruito sulla base di un fondamentale reperto, risalente ai curvus. Si tratta di qualcosa che ho trovato nel territorio collinare del Credulari, vicino alla savana del Vattelapescari (Africa Centro-Orientale).

Bella notte. Belle luci lassù pensa Iok, capo della tribù di Homo Curvus, mentre guarda il cielo. Prova nel cuore un infinito senso di magia e di bellezza, ma possiede ancora pochissime parole e non può esprimere facilmente le proprie idee.

Beh, più che vere parole sarebbe meglio definirle “versi”, ma quei versi vorrebbero dire qualcosa. In questo caso vorrebbe comunicare ai compagni di tribù lo stupore davanti alla meraviglia del cielo notturno. Ma quale suono può rendere quella sensazione? Tanto più che la volta celeste, scura e apparentemente immobile, è perfettamente silenziosa e non c’è modo di riprodurne il rumore.

Poi, qualcosa improvvisamente si muove sulla superficie sferica del cielo. Un puntino luminoso, preso da una gran voglia di correre, si sposta veloce nel blu, lasciando una scia argentea dietro sé.

È una scena meravigliosa alla quale HC non aveva mai assistito prima.

Un verso gli nasce quindi spontaneo e lo accompagna con un movimento veloce della mano, imitando il balenio della stella cadente.

– Swiiissshhh – sussurra con gli occhi rivolti in alto.

Prontissimi, tutti gli altri curvus fanno altrettanto. Come sempre lo prendono a esempio e modello, ripetendo esattamente ciò che Iok fa o dice.

– Swiiissshhh, swiiissshhh, swiiissshhh – gli fanno eco i membri della sua tribù, con lo sguardo imbambolato e un po’ rintontito puntato in alto.

HC è disperato. Possibile che lo imitino continuamente senza capire ciò che fanno, dicono o pensano? Ma poi, saranno davvero in grado di pensare qualcosa questi buffi ominidi?

Che importa, lui vuole loro bene così come sono.

La scia si dilegua fulminea nel nero della notte, ma a Iok pare quasi che scompaia in un punto preciso dell’orizzonte. Forse non è così capace come vorrebbe, di calcolare già misure e distanze. Infatti pensa di poter raggiungere il punto in cui il puntino luminoso si è fermato.

Senza avvisare nessuno, quindi, si mette in cammino.  A giudicare da ciò che ha visto, la strada non dovrebbe essere troppo lunga.

Che sia la direzione giusta oppure no, nessuno potrà mai dirlo. È certo però che HC. Dopo poco meno di un’ora, mentre i suoi simili già dormono sotto alla fitta boscaglia, raggiunge una specie di radura.

È uno spiazzo in mezzo al bosco, da cui proviene uno strano bagliore. Quello è sicuramente il punto in cui è andato a sbattere l’oggetto brillante caduto dal cielo.

HC si avvicina cauto, nascosto da un cespuglio, e sbircia. Vede uno strano essere. Sembrerebbe simile a lui, ma il suo corpo è ricoperto di una strana pelle rossa, bordata di bianca pelliccia. L’essere misterioso scende da un … qualcosa tirato da certi quadrupedi mai visti prima, dotati di grosse corna ramificate.

L’altro vivente dalle sembianze umane, tutto rosso e  bianco, fa versi che assomigliano a quando Tum Tum intona i suoi canti sguaiati d’amore, ma sono molto più belli.

– Jingle bells, jingle bells…

Iok ascolta attento le nuove parole. Non le capisce minimamente, non le associa a nulla che vede lì vicino o che richiami alla sua memoria qualcosa di significativo.

HC osserva affascinato il nuovo venuto. Vorrebbe andarlo a vedere da vicino, ma non ne ha il coraggio. Inoltre teme di metterlo in fuga in questo modo. Così rimane dietro l’arbusto e continua a osservare.

Lo strano umano si guarda intorno con aria circospetta per assicurarsi che nessuno lo veda, ma non si accorge delle pupille del nostro HC, che si mimetizzano con le foglie del cespuglio, grazie al folto pelo che le circonda. Poi quello prende qualcosa dallo strano oggetto da trasporto agganciato ai quadrupedi e appoggia una specie di cosa marrone sopra una pietra. Di che cosa si tratti, Iok proprio non lo sa, ma nota che l’ominide evoluto ne stacca un pezzetto e se lo mette in bocca con aria golosa e soddisfatta. Sembra voglia esprimere Gust, come quando loro curvus fanno capire che mangiano qualcosa di buono.

Improvvisamente l’essere rosso e bianco sembra preso da una strana fretta. Risale sui legni intrecciati tirati dagli animali cornuti e sparisce velocissimamente in volo nel cielo, emettendo un sibilante swiiissshhh e lasciando dietro sé la stessa scia luminosa che Iok ha visto prima.

È un incontro davvero speciale e HC vuole condividerlo con i suoi compagni di tribù.

Corre quindi indietro, sveglia tutti, ripetendo continuamente, in preda a un’insolita agitazione per un tipo calmo come lui:

– Jin-Be, jin-be.

Facendo capire che lo devono seguire.

Arrivati al fatidico spiazzo, mostra loro il grosso coso alimentare appoggiato su una pietra, ripetendo il verso di prima.

– Jin-Be, jin-be.

Dall’osservarlo, all’essere attratti dal suo profumino, infine all’assaggiarlo passa davvero poco per quei golosi della tribù. Tutti vi si avventano sopra, facendone un’allegra scorpacciata. Chissà mai se ricapiterà loro di mangiare qualcosa di così delizioso.

Noi, più fortunati, sappiamo invece che, una volta all’anno, possiamo godere di certe ghiottonerie, soprattutto nel periodo in cui si avvicina la fine dell’anno e tutti fanno festa, spesso scambiandosi regali. Forse anche i curvus, ispirati dalla bontà donata dallo strano essere bianco e rosso, hanno imparato proprio quella volta a scambiarsi regali tra loro.

Vi ho parlato di fatti e prove scientifiche. Ebbene, eccole servite.

Nel sito archeologico di cui vi ho parlato all’inizio, sono stati trovati resti fossili di escrementi di due tipi.

Il primo era di ominide e conteneva, cosa quasi impossibile, tracce di uvette e canditi. Il secondo, badate un po’, era nientemeno che di renna. E che cosa ci farà mai una renna in Africa?

Da vero scienziato, dati i fossili raccolti, non mi rimane che una sola spiegazione, che chiunque di voi potrà ben intuire: il primo essere della specie umana a vedere Babbo Natale non è stato affatto l’Homo Sapiens moderno, come le false pubblicità vogliono farci credere. È stato il nostro caro, amatissimo e ineguagliabile Homo Curvus!

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Racconto inedito di Roberto Morgese, vincitore del Premio Battello a Vapore Miglior Autore 2017. Illustrazione di Elia Morgese.

Roberto Morgese ha pubblicato nella collana I Gerbilli i volumi Homo Curvus (a cui è ispirato questo brano), 2018, illustrato da Elia Morgese e Aiko sul Vulcano, 2017, illustrato da Sandra Bisiani Martinson.