Sabacu – Prologo
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Il prologo del romanzo Sabacu di Fepa & Curzio (edizioni Epoké, 2024)
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Ero sveglio già da un po’ e me ne stavo seduto di fronte alla porta d’ingresso ad aspettare, impaziente. Era presto, prestissimo, e il buio era come una luce, a metà tra la notte e il giorno. Sentii sulla spalla una carezza. «Andiamo Sabacu, tuo fratello si è svegliato.»
«La mattina è il mio momento della giornata preferito» disse la mamma girandosi verso di noi.
Rideva e teneva le mani strette intorno alle spalline di una sacca. Poco prima, uscendo di casa, aveva riposto con cura al suo interno un panno profumato di biscotti, appena tolti dal fuoco, una borraccia di cuoio e una strana tazza di argilla che avevo già visto sopra il camino. Io e Samirmi eravamo poco dietro di lei, lo sguardo fisso sul sole appena sorto da dietro la collina.
«Ecco la quercia, ci aspetta.»
La mamma arrivò per prima, posò la sacca tra le radici dell’albero, si sedette e si appoggiò al tronco nodoso. Poi arrivai io, poi arrivò Samirmi, e tutti e tre formammo un piccolo cerchio stretto. La mamma estrasse dalla sacca il panno dei biscotti e la grande tazza. Posai una mano su quella cosa. Era da tanto che volevo farlo. La mamma mi spettinò i capelli.
«Cos’è?» chiese mio fratello.
«Questa è una grolla. È la nostra grolla, la grolla della nostra famiglia.»
«Mia, tua e di Sabacu?»
«Certo, noi siamo una famiglia.» La mamma abbassò un attimo lo sguardo. «Noi e tutti quelli che ci sono stati. Ogni famiglia del villaggio ne ha una, è molto importante per ognuna di loro. Vedete queste decorazioni? Raccontano la storia di quello che è successo prima, di come siamo arrivati fino a qui, di come ora sia il nostro tempo.»
«Il nostro tempo per cosa?»
«Per vivere.»
«E poi?»
«Poi sarà il tempo di qualcun altro.»
«E noi?»
«Noi lasceremo spazio.»
La grolla era di forma circolare e aveva otto beccucci da cui bere.
«Sapete…» disse la mamma mentre apriva l’involto dei biscotti e ne dava uno a me e uno a Samirmi. «Questa grolla l’abbiamo lavorata e plasmata insieme io e papà il giorno in cui siamo diventati famiglia. Abbiamo voluto aggiungere tanti piccoli gigli: lui voleva che ci ricordassimo per sempre delle cose belle e pure; quelle – aveva scoperto – si dimenticano tanto più facilmente delle cose brutte. Il giglio è diventato il nostro simbolo. Sono legata a questo fiore, perché me lo ha regalato il giorno in cui sei nato…» Mi guardò. «E uno il giorno in cui sei nato tu, Samirmi. Anche il giorno prima di partire per le Miniere me ne ha regalato uno…»
La mamma ci parlava e intanto versava dello sciroppo dalla borraccia all’interno della grolla. Parlava a bassa voce, con un leggero sorriso. Ogni tanto si grattava la punta del naso perché l’aria fresca le dava sempre la sensazione di stare per starnutire.
«Aveva ragione… Non possiamo dimenticare tutte le cose belle che ci capitano» e bevve un sorso di sciroppo da un beccuccio.
Poi addentò un biscotto e venne scossa da un brivido. Passò la grolla a me e anch’io bevvi. Addentai un biscotto e passai la grolla a mio fratello. Lui fece lo stesso. Un cerchio stretto in cima alla collina, sotto la quercia, all’alba di un giorno felice. Come una luce.
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Leggi qui l’intervista a Federica Tosadori e Andrea Villa: “Sabacu, un viaggio che diventa conoscenza di sé”
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