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Emergenza sbarchi? No, emergenza integrazione

Il politologo Marco Valbruzzi, ricercatore dell’Università di Bologna e dell’Istituto Carlo Cattaneo, risponde ai nostri tre quesiti sull’immigrazione in Italia, tre quesiti che partono dall’analisi proposta da Angelo Scotto (ricercatore in Scienza politica presso l’Università degli Studi di Pavia) nel volume Emergenza permanente. L’Italia e le politiche per l’immigrazione, pubblicato questo mese nella collana Saggi.

Emergenza. «Secondo i dati aggiornati al 1 gennaio 2017, gli stranieri residenti in Italia sono 5.047.028, l’8,3% della popolazione complessiva. A essi si aggiungono i migranti forzati inseriti nel sistema di accoglienza: circa 180.000 nel 2017 (IDOS 2017), e i migranti irregolari, il cui numero attuale è stimato intorno ai 435.000 (ISMU 2012; 2017). […] È importante notare che la crescita dei residenti immigrati è piuttosto sostenuta sino al 2014, mentre negli anni successivi, pur continuando ad aumentare, lo fa con ritmi più lenti: tra il 2014 e il 2017 risultano circa 125.000 stranieri residenti in più; l’aumento era stato di 534.000 unità tra il 2013 e il 2014» (Scotto, 2018).

C’è dunque un’emergenza migranti nel Paese? Quali sono i fattori che spingono una larga fetta della popolazione autoctona italiana a considerare il fenomeno in termini emergenziali?

«No, non esiste una “emergenza” migranti, peraltro calati sensibilmente a partire dal 2017. Gli sbarchi continuano, ma a ritmi fortemente ridotti rispetto agli anni “caldi” della crisi migratoria scoppiata nel 2014. L’emergenza non sta, dunque, negli sbarchi, ma nelle fasi successive: quelle dell’accoglienza e dell’integrazione. Sì, qui l’emergenza esiste ed è sotto i nostri occhi l’incapacità dello Stato italiano (sotto i governi di qualsiasi “colore”) di governare il fenomeno migratorio non tanto nella fase di “arrivo”, ma soprattutto in quella di permanenza e residenza. È questa evidente incapacità di controllare l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati che spaventa maggiormente i cittadini italiani».

Sicurezza. «Tra i temi connessi all’immigrazione, la questione della sicurezza è quello che ottiene più risalto rispetto all’effettiva salienza. Questo poiché l’espressione concreta del problema riguarda spesso casi di cronaca che ottengono una forte esposizione mediatica. […] La presenza di immigrati determina un aumento del numero e della frequenza di reati nella società ricevente? Gli immigrati tendono a delinquere più degli autoctoni?» (Scotto, 2018).

«Sì e no. Nel senso che se consideriamo tutte le categorie di reato, non possiamo concludere che gli immigrati delinquono più degli autoctoni. Ma se prendiamo in considerazione soltanto quei tipi di reato che creano maggiore allarme sociale nella popolazione (come i borseggi, i piccoli furti in appartamento o negli esercizi commerciali ecc.), allora sì: in questi casi, la propensione degli immigrati a delinquere è maggiore rispetto a quella degli italiani. Anche qui, però, il tema fondamentale è quello della (fallita o fallimentare) integrazione degli stranieri: finché non si sentiranno parte di una nuova comunità, con tanto di diritti e soprattutto doveri, i loro legami sociali resteranno debolissimi e, di conseguenza, i loro comportamenti saranno orientati alla sopravvivenza quotidiana (con tanto di comportamenti illeciti) e non alla costruzione di un progetto di vita stabile nel nostro Paese».

Identità. «Un tema legato alla presenza straniera che è meno facilmente analizzabile con parametri quantitativi, ma non per questo è meno presente nel dibattito pubblico: si tratta dell’influenza che il fenomeno migratorio eserciterebbe sulla cultura e l’identità dei paesi di destinazione, con il rischio annesso di indebolire o eliminare quella autoctona. […] A livello di politiche pubbliche il confronto principale […] verte sui diversi modelli di integrazione culturale, dove i principali sono il multiculturalismo e l’assimilazionismo. […] Il multiculturalismo prevede il riconoscimento e il rispetto di tutte le culture delle minoranze che esistono nel Paese. […] Le politiche assimilazioniste limitano le culture minoritarie alla sfera privata e richiedono agli immigrati la piena adesione alla cultura del Paese ospitante» (Scotto, 2018). Verso quale posizione si dirige l’Italia? Quali sono quotidianamente le posizioni degli italiani (sul posto di lavoro, a scuola, nel quartiere di residenza) rispetto all’identità culturale degli immigrati? E viceversa?

«L’Italia non ha direzione né posizione su questi aspetti, che diventeranno sempre più importanti nei prossimi anni. L’alternativa non è (o non dovrebbe essere) tra multiculturalismo e assimilazionismo. Continuo a ritenere sbagliate entrambe le posizioni. Il multiculturalismo crea una balcanizzazione della società che, a lungo andare, finisce per radicalizzare le identità e la società. L’assimilazionismo è invece un tentativo di cancellare completamente l’identità degli stranieri, con il rischio che si arrivi, prima o poi, a pericolose crisi di rigetto. Peraltro, servirebbe una forte identità della popolazione di accoglienza e, al momento, quella italiana mi pare piuttosto incerta e sbiadita.

L’unica via possibile (che è poi la sola ricetta veramente democratica) è quella del pluralismo che richiede il riconoscimento delle diverse identità in senso lato “culturali”, ma all’interno di un’unica cornice di rispetto e tolleranza reciproca tra gli “integranti” e gli “integrati” (o integrabili). Il criterio per costruire una società pluralista sta proprio nel principio della reciproca tolleranza: gli intolleranti non sono ammessi in una società democratica. Qui sta il nodo del fondamentalismo religioso, soprattutto (ma non solo) di matrice islamica: all’incirca 1/4 dei migranti arrivati in Europa dal 2010 è di religione musulmana e su questo fronte bisogna essere estremamente vigili e intransigenti».

Per approfondire, segnaliamo il paper Immigrazione in Italia: tra realtà e percezione a cura di Marco Valbruzzi, pubblicato a fine agosto dall’Istituto Carlo Cattaneo.

Con Edizioni Epoké Valbruzzi ha pubblicato i volumi A Changing Republic (2015), coautore Gianfranco Pasquino, e Le primarie da vicino (2013), curato insieme ad Antonella Seddone.